lunedì 22 luglio 2013

Equitalia “si adegua” alle novità del Decreto del Fare

Da http://www.fisco7.it

Con la nota interna del 1 luglio 2013, in ragione del particolare contesto storico di riferimento, Equitaliaallenta la presa sui debitori e va incontro ai contribuenti in crisi di liquidità anticipando, laddove possibile, glieffetti del Decreto del Fare (D.L. n. 69 del  04/06/2013), rendendo operative le novità ivi contenute. Ecco insintesi i principali aspetti delle tredici pagine della nota indirizzata ai direttori generali del gruppo Equitalia.
1    Trova immediata applicazione la norma che impedisce la decadenza dalla rateazione a causa del mancato pagamento di un certo numero di rate che è stato esteso dal decreto del Fare da 2 a 8, ed è da intendersi anche in via non consecutiva. È una norma particolarmente importante in tempi difficili come questi, perché un debitore che non ha pagato una rata nel corso del 2013 ha ancora un plafond di 7 rate prima di decadere dal beneficio.
La ratio della norma consente a Equitalia di evidenziare che:
  • il beneficio dell’impedita decadenza a seguito del mancato pagamento delle rate (fino a 8) trova applicazione anche per i piani di rateazione già concessi ed in corso alla data di entrata in vigore del decreto.
  • nel caso in cui, alla data di entrata in vigore della norma, vi siano dei soggetti decaduti dal beneficio della rateazione, è possibile applicare la disciplina di particolare favore per i debitori.
2.   Altro aspetto che ha subito catturato l’attenzione dei contribuenti che hanno a che fare con Equitalia riguarda la possibilità di aumentare il numero di rate complessive fino a 120. Tale possibilità è prevista nei casi in cui il debitore si trovi “per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica” (art. 19, comma1 quinquies). Sull’argomento Equitalia ha avuto modo di precisare che:
  • l’operatività di quella norma è demandata ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che verrà adottato entro 30 giorni dalla data di conversione del decreto legge di riferimento;
  • sino a tale data, le istanze di rateazione continueranno ad essere evase secondo le istruzioni precedentemente impartite;
  • una volta che il decreto verrà emanato, le disposizioni verranno applicate, nel rispetto di quanto indicato nel decreto stesso, anche per rimodulare piani di rateazione già concessi.
3.   Passando al tema cruciale dell’espropriazione della prima ed unica casa, l’Agente della riscossione ribadisce che la normativa si applica laddove vi sia la presenza contestuale delle seguenti condizioni:
  • non si tratti di immobile di lusso, (avente le caratteristiche individuate dal decreto del lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969), ovvero di villa (A/8), castello o palazzo di eminente pregio artistico o storico (A9);
  • che il bene sia destinato ad uso abitativo ed il debitore;
  • che tale immobile sia l’unico di proprietà del debitore.
Gli aspetti interpretativi contenuti nella nota da segnalare sono:
  • la previsione secondo cui “l’immobile sia adibito ad uso abitativo” va inteso nel senso della  classificazione catastale del bene e non con riferimento alla destinazione d’uso di fatto. Restano pertanto esclusi dal divieto di pignoramento tutti gli immobili con categoria non abitativa, quali uffici e studi privati (A10);
  • in presenza di pertinenze accatastate autonomamente (per esempio box e cantine), la condizione di unicità dell’immobile adibita a residenza permane. Quindi, in tali casi, opera il divieto di espropriazione.
Resta ferma la possibilità per l’agente della riscossione di iscrivere ipoteca sulla casa di residenza laddove il debito pendente sia superiore a euro 20.000, così come è impregiudicata la possibilità per Equitalia di partecipare al ricavato dell’espropriazione avviata da altri (per esempio banche e fornitori).
Ultimo aspetto che merita attenzione è l’applicabilità o meno delle disposizioni in esame ai pignoramentigià eseguiti per i quali non sia stata ancora effettuata la vendita all’incanto. Per la complessità della materia, Equitalia attende i necessari pareri da parte dei competenti Organi Istituzionali. Nelle more dei pareri richiesti, in attesa della conversione in legge del provvedimento, Equitalia non darà corso alle espropriazioni immobiliari pendenti alla data di entrata in vigore della legge, che resteranno sospese, se:
  • l’immobile espropriato è l’unico di proprietà del debitore, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente (con esclusione delle abitazioni di lusso e dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9);
  • l’importo del credito complessivo per cui si procede non supera 120.000 euro;
  • non è stata iscritta preventivamente l’ipoteca di cui all’art. 77 del DPR n. 602/197 o non sono decorsi almeno 6 mesi dall’iscrizione della stessa senza che il debito sia stato estinto.
Nicolò Cipriani – Centro Studi CGN

commercialista olbia, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale gianni cassetta, studio commerciale olbia, 

domenica 21 luglio 2013

Equitalia: parte la notifica delle cartelle via PEC

Da http://www.fisco7.it

Con un comunicato stampa del 24 giugno 2013 Equitalia ha annunciato che prende il via la sperimentazione delle notifiche delle cartelle di pagamento attraverso la Posta Elettronica Certificata (PEC). La società di riscossione ha annunciato che i primi a riceverle ai propri indirizzi email, in via sperimentale, saranno le persone giuridiche (società di persone e di capitali), con sede in Molise, Toscana, Lombardia e Campania. L’obiettivo é poi quello di estendere gradualmente a tutto il territorio la procedura.
Si ricorda che l’art.26 del DPR 602/73 stabilisce che, per effetto delle modifiche apportate dal DL 78/2010, la notifica delle cartelle di pagamento possa avvenire anche tramite PEC, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge.
Tale modalità di notifica presenta diversi vantaggi: costituisce un notevole risparmio dei costi di notificazione, permette di ridurre l’uso della carta e della stampa con benefici per l’ambiente e dà certezza sull’effettività della notifica e sui relativi termini. E’ soprattutto quest’ultimo punto che porterà benefici immediati a tutte le parti in causa, in quanto, sia il contribuente che l’amministrazione che vanta la pretesa, potranno verificare in tempo reale i documenti inviati da Equitalia e avere la garanzia del giorno e dell’ora esatta di notifica.
L’invio di un messaggio con la PEC – spiega nel comunicato stampa l’agente della riscossione – é equiparato a una raccomandata postale con avviso di ricevimento ed ha dunque valore legale. Inoltre, grazie ai protocolli di sicurezza utilizzati, il sistema é in grado di garantire l’integrità del contenuto e degli eventuali allegati.
Equitalia consiglia di controllare la propria casella per restare sempre aggiornati; questo perchè è stato riscontrato che uno degli aspetti più problematici dell’avvento della PEC, é che molte aziende, pur avendo ottemperato all’obbligo di legge, non hanno ancora preso l’abitudine di verificare frequentemente la casella della quale si sono dotate.
Si ricorda che, in caso di smarrimento delle ricevute, la traccia informatica delle operazioni svolte, conservata per legge per un periodo di 30 mesi, ne consente la riproduzione, con il medesimo valore giuridico delle ricevute stesse.
Giovanni Fanni – Centro Studi CGN


commercialista olbia, fisco, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale olbia, pec equitalia

mercoledì 17 luglio 2013

Stop al capitale ridotto: ora solo semplificate!

da http://www.fisco7.it

Importanti novità nel diritto societario. Viene aperta a tutti la possibilità di partecipare alla società a responsabilità limitata semplificata e viene abolita la società a responsabilità limitata a capitale ridotto. Sono queste le principali disposizioni contenute nel Decreto Legge n.76 recante “Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti”. Esaminiamole in dettaglio.
Tra le tante misure, alcune delle quali stabiliscono incentivi per nuove assunzioni a tempo indeterminato e migliorie al funzionamento del mercato del lavoro, l’articolo 9 del Decreto Legge n.76 (in tutto sono tredici articoli) prevede, al comma 13, importanti novità per quanto riguarda l’articolo 2463-bis del codice civile, il quale sancisce la possibilità di costituire una s.r.l. semplificata, affermando che:
“La società a responsabilità limitata semplificata può essere costituita con contratto o atto unilaterale da persone fisiche che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione.
L’atto costitutivo deve essere redatto per atto pubblico in conformità al modello standard tipizzato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro dello sviluppo economico, e deve indicare:
1) il cognome, il nome, la data, il luogo di nascita, il domicilio, la cittadinanza di ciascun socio;
2) la denominazione sociale contenente l’indicazione di società a responsabilità limitata semplificata e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie;
3) l’ammontare del capitale sociale, pari almeno ad 1 euro e inferiore all’importo di 10.000 euro previsto all’articolo 2463, secondo comma, numero 4), sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione. Il conferimento deve farsi in denaro ed essere versato all’organo amministrativo;
4) i requisiti previsti dai numeri 3), 6), 7) e 8) del secondo comma dell’articolo 2463;
5) luogo e data di sottoscrizione;
6) gli amministratori, i quali devono essere scelti tra i soci.
La denominazione di società a responsabilità limitata semplificata, l’ammontare del capitale sottoscritto e versato, la sede della società e l’ufficio del registro delle imprese presso cui questa è iscritta devono essere indicati negli atti, nella corrispondenza della società e nello spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato con la rete telematica ad accesso pubblico.
È fatto divieto di cessione delle quote a soci non aventi i requisiti di età di cui al primo comma e l’eventuale atto è conseguentemente nullo.
Salvo quanto previsto dal presente articolo, si applicano alla società a responsabilità limitata semplificata le disposizioni del presente capo in quanto compatibili.”
Al comma 1 del suddetto articolo, viene soppressa la specifica “che non abbiano compiuto i trentacinque anni di età alla data della costituzione”; al comma 2, punto 6), viene abolita la disposizione “i quali devono essere scelti tra i soci”; anche l’intero comma 4 è stato soppresso.
Il comma 14 dell’articolo 9, poi, interviene ad abolire la s.r.l. a capitale ridotto, introdotta il 26 giugno 2012, disciplinata con legge speciale e non direttamente nell’impianto codicistico, come invece vale per la s.r.l. semplificata.
Ciò ha portato ad una “trasformazione” ex lege (comma 15) delle s.r.l.c.r. già esistenti (in tutto sono 2.333, metà delle s.r.l. semplificate, dato de “Il sole 24 ore” del 27 febbraio 2013) in s.r.l. semplificate, eliminando quindi il limite d’età come requisito distintivo tra le due diverse forme societarie.
Le ex s.r.l. a capitale ridotto dovranno, quindi, inserire il cambiamento di denominazione sociale in tutti gli atti societari. Non sembra invece necessario dover rifare statuto e iscrizione a registro imprese, ma si attendono eventuali chiarimenti ministeriali.
La presenza contemporanea di questi due tipi sociali indubbiamente aveva il sapore di una duplicazione difficilmente giustificabile. Considerato l’intento iniziale delle due varianti di s.r.l., cioè consentire ai giovani un ingresso facilitato nel mondo dell’imprenditorialità, superando quindi il requisito di capitale di 10.000 euro, pare che la creazione di due modelli alternativi, disciplinati diversamente ma con un univoco obiettivo sia inutile.
Osservando poi le soluzioni assunte da altri Paesi europei per l’agevolazione all’imprenditorialità, sembra giusto ritenere che, anche al fine della semplificazione burocratica e del taglio dei costi di costituzione, ci sia stato un segnale concreto nella direzione dell’incentivo di attività imprenditoriali, ma ancora molto si può fare per allinearci al resto d’Europa.
Giorgia Martin – Centro Studi CGN


----------------------

commercialista olbia, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale gianni cassetta, studio commerciale olbia, 

Una sola autorizzazione vale per più ispezioni del Fisco

Da http://www.eutekne.info

Per la Cassazione, ciò vale nel caso in cui la verifica, per la sua complessità, richiede più interventi nella sede del contribuente
Gli accessi della Guardia di Finanza e dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate presso la sede del contribuente non devono essere singolarmente autorizzati in via preventiva mediante apposito atto, essendo sufficiente, per una pluralità di accessi distanziati nel tempo, una sola autorizzazione rilasciata dal Capo Ufficio o dal Comandante del Reparto da cui dipendono i verificatori. Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 17357 di ieri, 16 luglio.

L’art. 52 del DPR 633/1972, richiamato anche dall’art. 33 del DPR 600/1973, in materia di imposte dirette, stabilisce che i funzionari che accedono presso la sede dell’attività del contribuente per eseguire controlli o verifiche devono essere muniti di un’apposita autorizzazione rilasciata dal Capo dell’Ufficio dal quale dipendono.
Nel caso di specie, la GdF aveva effettuato due accessi, a distanza di tempo l’uno dall’altro, ma in forza dello stesso ordine di servizio. Per il contribuente, il secondo accesso non poteva ritenersi legittimo, atteso che non era assistito da una sua autonoma autorizzazione e dal momento che il citato ordine di servizio sarebbe stato utile solo per il primo accesso eseguito dai militari. Dall’illegittimità della verifica sarebbe conseguita, secondo il ricorrente, la nullità dell’avviso di accertamento.

La Cassazione, però, ha stabilito che l’art. 52 sopra richiamato non richiede che l’autorizzazione sia reiterata per ogni singolo accesso ispettivo, ben potendo essere rilasciata in via preventiva per una pluralità di accessi, quando, come nel caso di specie, l’effettuazione della verifica, per la sua complessità, richiede più interventi presso la sede del contribuente, non venendo per questo meno l’unitarietà complessiva dell’operazione, né potendosi ravvisare una lesione dei diritti di difesa del contribuente.
In effetti, sarebbe superflua una specifica autorizzazione per ogni singolo accesso e, anche sotto il profilo operativo, una simile impostazione creerebbe non poche difficoltà gestionali al Fisco. Un medesimo controllo o una stessa verifica, del resto, possono proseguire anche per diversi giorni o mesi, in funzione della complessità delle operazioni da svolgere.

La questione, tuttavia, assume connotati differenti se gli accessi non riguardano un medesimo controllo o verifica, ovvero se le attività ispettive “oltrepassano” il contenuto dell’incarico rilasciato per il primo accesso.
Si ricorda, infatti, che l’art. 52 citato prevede espressamente che l’autorizzazione debba recare l’indicazione dello scopo dell’accesso e, quindi, si ritiene che questa possa essere valida solo per quel determinato fine, ad esempio una verifica parziale IVA per l’anno d’imposta 2010.

Nuovo atto se lo scopo dell’accesso è diverso

Se gli accessi successivi hanno ad oggetto, allora, il controllo di costi ai fini reddituali, pare evidente che detto accesso deve essere preventivamente autorizzato con un apposito nuovo atto, dato che la precedente autorizzazione ha un oggetto differente. In quest’ultimo caso, insomma, per dirla con le parole della Cassazione, non si verte in ipotesi di “unitarietà complessiva dell’operazione” frazionata su più accessi, per cui è sufficiente una sola autorizzazione.

È opportuno ricordare, poi, che l’autorizzazione all’accesso presso le sedi del contribuente non può mai considerarsi a tempo indeterminato, poiché, ai sensi dell’art. 12, comma 5 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000), la permanenza dei verificatori presso la sede del contribuente non può essere superiore ai trenta giorni lavorativi effettivi, prorogabili di ulteriori trenta; se si tratta di controlli nei confronti di contribuenti in contabilità semplificata o lavoratori autonomi, il limite previsto è di quindici giorni, prorogabili di ulteriori quindici, ma comunque nell’arco di un trimestre.

La Suprema Corte, peraltro, ha ripetutamente stabilito che, non esistendo in ambito tributario un principio di inutilizzabilità delle prove irritualmente acquisite come quello previsto nel penale, gli accessi presso le sedi dei contribuenti non preventivamente autorizzati non comportano pregiudizio alcuno nei confronti del conseguente atto impositivo che si fondi su quelle prove irritualmente acquisite durante gli accessi illegittimi non autorizzati (cfr. Cass. 3388/2010). Alla luce di tale principio, quindi, risulterebbe assorbita la questione affrontata con la pronuncia in commento.

Al contribuente resta la possibilità, per quanto essa costituisca forse un flebile rimedio, di richiedere tutela al Garante ex art. 13 dello Statuto, nei casi in cui i verificatori procedano irritualmente o in violazione di legge e, quindi, anche in assenza di apposita autorizzazione o di un atto autorizzativo non regolare, perché, ad esempio, non ricomprendente le operazioni oggetto di accesso, carente dell’indicazione dello scopo di tale accesso, ovvero privo della ragione che ha determinato il controllo.


commercialista olbia, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale olbia, studio commerciale gianni cassetta

martedì 16 luglio 2013

Servizi più costosi in outsourcing. Sicuramente si tratta di elusione

Illecito il comportamento del titolare di uno studio professionale che sovrafattura le prestazioni avvalendosi di una società di capitali della quale è socio di maggioranza
Elude il fisco il professionista che dà in outsourcing i servizi, a costi superiori rispetto a quelli che avrebbe sostenuto con l’impiego di personale interno, avvalendosi dell’interposizione di una società di cui è socio di maggioranza, i cui dipendenti erano già suoi collaboratori, che ha sede negli stessi locali dello studio professionale e che usufruisce di specifiche agevolazioni fiscali.
Infatti, la sussistenza di elementi gravi, precisi e concordanti idonei a dimostrare la sostanziale e non giustificata contrazione della base imponibile dimostra l’elusione del comportamento del contribuente, sulla base del principio generale dell’abuso del diritto che il legislatore ha codificato nelle disposizioni antielusive del Dpr 600/1973.
Questi i principi espressi dalla Corte di cassazione con la sentenza 16859 del 05 luglio.

Il fatto
La pronuncia in commento trae origine dall’impugnazione di un avviso di rettifica da parte di notaio.
L’atto impositivo era stato emesso dall’ufficio finanziario sulla scorta di un processo verbale di constatazione notificato dalla Guardia di Finanza, per il recupero a tassazione di costi fiscalmente dedotti dal contribuente.
Nell’atto de qua i militari contestavano al professionista una condotta elusiva, poiché egli aveva esternalizzato alcuni servizi, a prezzi maggiori rispetto a quelli sostenuti in insourcing.
Per fare questo il professionista si era avvalso di una società di capitali, a cui fatturava le prestazioni.
Dai controlli dei verificatori era emerso che detta società era detenuta al 90% dal professionista, aveva la sede legale presso i medesimi locali dello studio, concessi in comodato gratuito, aveva alle proprie dipendenze personale già impiegato in precedenza presso il notaio, a prezzi inferiori, e godeva delle agevolazioni fiscali per il Mezzogiorno.
Il ricorso, accolto in sede di prime cure, trovava accoglimento davanti ai giudici regionali e, a seguito del ricorso della soccombente Agenzia delle Entrate, approdava una prima volta in Cassazione.
I giudici di legittimità accoglievano il ricorso dell’ufficio finanziario, cassando con rinvio la sentenza impugnata, censurando la parte in cui i giudici della Commissione Tributaria Regionale avevano affermato che “il comportamento manifestamente antieconomico del contribuente lavoratore autonomo non era suscettibile di valutazione, ai fini dell’accertamento tributario, in ossequio al principio di libertà d’impresa sancito dall’art. 41 Cost.”.
Il giudizio si instaurava presso una diversa sezione della Ctr e anche in questa sede i giudici del rinvio confermavano la legittimità dell’avviso di rettifica.
L’adita Corte dichiarava legittimo il disconoscimento fiscale dei maggiori costi sostenuti dal professionista, determinati quale differenza tra i costi sostenuti negli anni precedenti per remunerare il personale occupato nell’erogazione dei servizi e quelli corrisposti alla interposta società, che li prestava (maggiorati) per il tramite dei medesimi collaboratori.
Avverso tale sentenza proponeva nuovamente ricorso per cassazione il notaio lamentando, tra l’altro, che il conferimento a una società esterna di determinati servizi era un’attività assolutamente lecita, non riconducibile ad una fattispecie elusiva ex articolo 37-bis del Dpr 600/1973.
A parere del ricorrente, inoltre, i giudici di secondo grado avevano omesso di verificare l’assenza di valide ragioni economiche, presupposto necessario al fine della contestazione di elusività.
L’Agenzia delle Entrate proponeva controricorso, deducendo che la Ctr aveva ben valutato l’antieconomicità del comportamento del professionista, determinando il valore più razionale ed economico per il professionista, correlato alla prestazione dei servizi da parte di personale dipendente direttamente retribuito.
L’ufficio finanziario evidenziava, altresì, che l’elusione costituisce fattispecie più ampia di quella disciplinata dall’articolo 37-bis.
Accogliendo parzialmente i motivi dell’ufficio, i giudici cassavano la sentenza di secondo grado, rinviando il giudizio a sezione ancora diversa della Commissione tributaria regionale.

La pronuncia
Nella prima fase del procedimento, la Corte di cassazione aveva statuito la legittimità dell’avviso di rettifica emesso dall’ufficio finanziario, quale atto adeguatamente motivato a dimostrare l’elusività della condotta del professionista.
Questi, attraverso l’interposizione reale di una sua società, peraltro dotata di strutture umane e strumentali che lui stesso aveva fornito, aveva determinato un irrazionale aumento del costo sostenuto per i servizi esternalizzati e, di conseguenza, aveva goduto di un ingiustificato abbattimento del reddito imponibile.
In tale sede i giudici di legittimità avevano fissato un importante principio di diritto, sostenendo che il comportamento antieconomico del contribuente-lavoratore autonomo, pur nel rispetto del principio della libertà d’impresa costituzionalmente garantito, è suscettibile di valutazione ai fini dell’accertamento tributario.
Infatti, il contribuente, “benché libero di organizzare la propria attività in maniera antieconomica era tenuto, in caso di attenuazione dell’obbligo di contribuire alla spesa pubblica, a dare conto di tale anomala scelta”.

In ottemperanza a tale principio, i comportamenti che contrastano con le regole del buon senso e del fare comune, uniti alla mancanza di una giustificazione razionale, diversa dalla mera ed elusiva ricerca di un risparmio d’imposta, costituiscono elementi gravi, precisi e concordanti idonei a legittimare il recupero a tassazione dei correlati costi.
In tema di imposte sui redditi “in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia”, quale la scelta di pagare un prezzo maggiore (corrisposto a una società che pagava i suoi ex dipendenti) rispetto a quello supportato in precedenza affidando il servizio a collaboratori direttiche il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l’accertamento ai del D.P.R: 600/1973, art. 39, co. 1, lett. d)”.

I giudici della Suprema corte hanno ribadito che la presenza di precisi e documentati indizi, che nel caso di specie riguardano un ingiustificato sostenimento di maggiori costi da parte di un professionista, che questi non avrebbe sostenuto se avesse continuato ad avvalersi di personale interno, unitamente alla natura del soggetto interposto, costituito da una società di cui lui era l’effettivo beneficial owner e che usufruiva di specifiche agevolazioni fiscali, dimostrano in maniera univoca “l’elusione del comportamento del contribuente, sulla base di un principio generale, quello dell’abuso del diritto, formalizzato nell’art. 37-bis del D.P.R: 600/1973”.


fisco, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale olbia

I beni sono intestati al figlio? Si alla confisca per equivalente


La relazione di consanguineità fra il presunto reo e il soggetto a favore del quale è trasferita la quota patrimoniale consentirebbe, comunque, al primo di disporne
Per la Cassazione, sentenza n. 28913 dell’8 luglio 2013, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può avere ad oggetto non soltanto beni intestati solo apparentemente ad un soggetto interposto (interposizione fittizia), ma anche beni effettivamente intestati al soggetto interposto (interposizione reale), che risulti legato all’interponente da un rapporto fiduciario, per l’amministrazione dei beni nell’interesse e secondo le direttive di quest’ultimo.

La questione riguarda il ricorso in Cassazione proposto da un contribuente - indagato per i reati di dichiarazione infedele e indebita compensazione - contro l’ordinanza del tribunale di Roma che aveva rigettato l’appello dallo stesso presentato nei confronti dell’ordinanza del Gip capitolino, con la quale era stata respinta la richiesta di revoca del sequestro preventivo per equivalente su beni di pertinenza del ricorrente.

I giudici di appello, nel confermare la ricostruzione storica della vicenda effettuata dal Gip, ribadivano le argomentazioni secondo cui erano riconducibili al ricorrente l’80% delle quote sociali di una srl, asseritamente di pertinenza di terzi estranei al procedimento, nonostante l’indagato avesse distribuito le quote in parte ai figli minori (con atto di donazione nella misura del 40%) e in parte ad altri stretti congiunti (per il residuo 40%), mantenendo di fatto il controllo sull’intero capitale sociale della srl.

Nel ricorso di legittimità, l’indagato deduce vizio di carenza di motivazione o comunque di motivazione apparente per avere il tribunale omesso di prendere in considerazione - nonostante la documentazione prodotta dalla difesa dimostrasse il contrario - la circostanza dell’effettivo trasferimento delle quote sociali.

La decisione della Cassazione 
Per i giudici penali di legittimità, le doglianze non sono fondate.
In primis, la Corte suprema ricorda che, contro i provvedimenti cautelari reali, il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge, intendendosi per tale “…sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice…”.

Vizio che, nel caso di specie, non ricorre, in quanto il provvedimento impugnato non presenta carenze argomentative di alcun genere, atteso che il tribunale ha fornito motivazione adeguata ed esaustiva dei fatti di causa, laddove “…nel ricostruire i vari movimenti che hanno caratterizzato la sorte dell’intero capitale sociale della MMD, ha affrontato e risolto il problema della intestazione progressiva di quote fino alla concorrenza dell’80% a stretti congiunti del… (i figli minori… - per il 40% con atto di donazione… - e i fratelli per il restante 40%) il quale ha continuato a mantenere per sé il 20% residuo”.

Nello specifico, quindi, secondo la Cassazione, il tribunale ha ricondotto la gestione dell’intero capitale sociale all’indagato, sia nella sua qualità di genitore esercente la potestà sui figli minori - a nulla rilevando la circostanza dedotta dalla difesa relativa alla mancanza di vincolo coniugale tra lo stesso e la madre dei minori (atteso che la potestà genitoriale può essere esercitata senza che occorra il vincolo matrimoniale) - sia per il rapporto di strettissima parentela intercorrente tra l’indagato e i suoi fratelli.

Peraltro, prosegue la Corte, tali affermazioni trovano fondamento “…sulle informazioni fornite dagli amministratori giudiziari circa l’epoca di tali movimenti, giungendo alla logica conclusione della spoliazione progressiva delle quote da parte del…in coincidenza (anzi subito dopo) con l’inizio delle indagini da parte della Guardia di Finanza che aveva proceduto ai controlli tributari…”; tale elemento, in verità, rappresenta il nucleo essenziale che sta alla base della conclusione della attribuibilità, in via di fatto, delle quote sociali dell’intera srl all’indagato.

Nel merito, poi, il collegio penale osserva che la tesi difensiva in ordine alla interposizione fittizia, non ha pregio, “…in quanto accanto a tale peculiare figura (che dà luogo ad un negozio relativamente simulato sotto il profilo soggettivo i cui effetti solo apparentemente si spiegano fra dante causa ed interposto) si colloca quella, considerata dal Tribunale, della c.d. ‘interposizione reale’ (anche questa idonea a giustificare l’adozione della misura cautelare reale,) la quale ricorre ogni qualvolta l’interponente trasferisca o intesti - come nella specie, secondo quanto è dato leggere nell’ordinanza impugnata - alcuni beni (nel caso in esame parte di quota sociali) all’interposto, ma con l’accordo fiduciario sottostante che detti beni saranno detenuti, gestiti o amministrativi nell’interesse del dominus e secondo le sue direttive”.

In sostanza, conclude la Cassazione, ai fini dell’individuazione dei beni assoggettabili al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non rilevano soltanto i casi in cui l’intestazione in capo all’interposto sia solo apparente (interposizione fittizia), ma anche le ipotesi in cui, pur essendo l’interposto l’effettivo titolare erga omnes, si riscontri un rapporto fiduciario (derivante dalla consanguineità o da altro genere di relazione) che vincoli il soggetto interposto al soggetto interponente (Cassazione, sentenza 41051/2011).

gianni cassetta commercialista olbia, commercialista olbia, studio commerciale olbia