lunedì 30 settembre 2013

IVA: Niente sospensione dell'aumento: dal 1 ottobre Iva dal 21 al 22 per cento

IVA: Niente sospensione dell'aumento: dal 1 ottobre Iva dal 21 al 22 per cento - Comunicato Stampa 27 settembre 2013 (Governo )

Da domani l'aliquota Iva ordinaria del 21 per cento passerà al 22 per cento. A causa della delicata situazione politica, infatti, il Consiglio dei Ministri di venerdì ha reputato, così reca il comunicato stampa diffuso a margine della seduta, “inevitabile il blocco di ogni decisione governativa su temi, anche rilevanti, di natura fiscale ed economica”.

 L'approvazione del decreto-legge contenente lo slittamento a gennaio dell'incremento di un punto dell'aliquota Iva, infatti, seppur anticipata nei giorni scorsi è stata improvvisamente congelata vista l'”impossibilità di impegnare il bilancio su operazioni che valgono miliardi di euro senza la garanzia di una continuità nell'azione di governo e Parlamento”.


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sabato 28 settembre 2013

L’Iva in fattura è dovuta al di là dell’imponibilità di una operazione

Fonte: http://www.fiscooggi.it

La Corte di giustizia chiamata a dipanare una controversia che verte  sulla interpretazione del dettato normativo contenuto nell’articolo 203 della direttiva Iva

La domanda di pronuncia pregiudiziale posta all’attenzione della Corte Ue, riguarda una controversia pendente tra una società bulgara la cui attività consiste nel trasporto di merci su strada nonché nella prestazione di servizi meccanizzati con attrezzature sociali, e l’Amministrazione fiscale bulgara per il diniego di riconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA,  in seguito alla mancata dimostrazione dell’esistenza delle operazioni a monte.

La fattispecie  e la questione pregiudiziale
La società in questione ha detratto l’Iva a monte risultante da diverse fatture aventi ad oggetto la fornitura di combustibile diesel, emesse da altre due società. Sulla base dei riscontri documentali effettuati, l’Amministrazione fiscale bulgara ha ritenuto che non fossero state realizzate cessioni di beni effettive relative alle fatture in questione, con la conseguenza che le condizioni necessarie a far sorgere il diritto alla detrazione dell’Iva a monte non risultavano soddisfatte.
In seguito all’avviso di accertamento irrogato, la società di trasporto ha proposto ricorso dinanzi alla autorità giurisdizionale competente, sostenendo la corrispondenza tra le fatture e le cessioni di beni effettive, così da ritenere privo di fondamento il diniego del diritto alla detrazione.
La posizione della società ricorrente faceva leva altresì sulla circostanza che l’Amministrazione finanziaria non avesse rettificato, con un precedente avviso di accertamento in rettifica indirizzato ad un fornitore, emittente tale fattura, l’Iva da esso dichiarata.
Ciò premesso, il giudice ‘a quo’, ha sottoposto alla Corte, tra l’altro, la seguente questione pregiudiziale: se l’articolo 203 della direttiva Ue n. 2006/12, secondo cui “l’Iva è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura”  debba essere interpretato nel senso che l’Iva indicata in fattura da un soggetto è da esso dovuta indipendentemente dall’esistenza effettiva di una operazione imponibile, e se dal fatto che l’amministrazione tributaria non abbia rettificato in un avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente di tale fattura, l’Iva dichiarata, sia possibile desumere che l’Amministrazione fiscale ha riconosciuto che la fattura corrispondeva a una operazione imponibile effettiva.

Le valutazioni della Corte
Nell’ambito di tale controversia di cui l’emittente delle fatture non è parte in causa, gli obblighi di quest’ultimo nei confronti dell’Amministrazione tributaria rivestono una rilevanza soltanto indiretta, essendo l’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente stato presentato quale mezzo di prova dell’esistenza effettiva delle operazioni imponibili. La Corte Ue ha dichiarato che in base all’articolo 203 della direttiva Ue 2006/112, chiunque indichi l’Iva in una fattura o in un altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta. Tali soggetti sono debitori dell’Iva indicata in fattura indipendentemente dall’esistenza di qualsiasi obbligo di versarla in ragione di una  operazione soggetta a imposta.Il diritto alla detrazione dell’Iva fatturata è collegato, in linea di principio, alla realizzazione effettiva di una operazione imponibile, e non si estende all’Iva dovuta in forza dell’articolo 203 della Direttiva, esclusivamente per il fatto di essere indicata nella fattura.L’obbligo previsto dall’articolo 203 della direttiva mira a eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto alla detrazione di cui agli articoli 167 e seguenti della direttiva. Tale obbligo è limitato dalla possibilità, di rettificare, in base ad apposite previsioni nei rispettivi ordinamenti interni, ogni imposta indebitamente fatturata, purchè l’emittente della fattura dimostri la propria buona fede o laddove questi abbia eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale.
Il fatto che da una parte sia possibile procedere alla rettifica e da altra parte il rischio che la fattura che indichi indebitamente l’Iva sia utilizzata ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione, comporta che l’obbligo previsto dall’articolo 203 della Direttiva 2006/112 non possa essere considerato nel senso che esso conferisce  al pagamento dovuto carattere di sanzione.Inoltre, finchè l’emittente di una fattura non deduce alcuna delle ipotesi che consentono la rettifica dell’Iva indebitamente fatturata, l’Amministrazione tributaria non è tenuta, nell’ambito di un accertamento fiscale, a verificare se l’Iva fatturata e dichiarata corrisponda a operazioni imponibili realmente effettuate da tale emittente. Pertanto, dal fatto che l’Amministrazione tributaria non abbia rettificato l’Iva dichiarata dall’emittente della fattura non si può dedurre che il Fisco abbia riconosciuto che le fatture emesse da quest’ultimo corrispondevano a operazioni imponibili effettive.

Il giudizio finale e la sentenza
Secondo gli eurogiudici l’articolo 203 della direttiva deve essere interpretato nel senso che l’Iva indicata in fattura da un soggetto è da esso dovuta a prescindere dall’esistenza effettiva di una operazione imponibile. Secondo la Corte, dal solo fatto che l’Amministrazione tributaria non abbia rettificato, in un avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente della fattura, l’Iva dichiarata, non si può dedurre che il Fisco abbia riconosciuto che la fattura corrispondeva a una operazione imponibile effettiva.

L’Iva in fattura è dovuta al di là dell’imponibilità di una operazione, commercialista olbia, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale gianni cassetta, studio commerciale olbia, 

Irreperibilità relativa o assoluta: distinte le procedure di notifica

Da http://www.fiscooggi.it

Solo nella seconda ipotesi è legittimo il mancato invio della raccomandata A/R di comunicazione del deposito dell’avviso di accertamento presso la casa comunale il campanello senza nome
La Corte regolatrice del diritto, con la pronuncia n. 16696/2013, ben evidenzia la differenza tra l’irreperibilità assoluta e quella invece soltanto relativa del destinatario della notificazione di un avviso di accertamento per verificare la legittimità dell’attività del messo notificatore in merito all’espletamento della procedura prevista dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, la cui lettera f) prevede che le disposizioni contenute negli articoli 142, 143, 146, 150 e 151 del codice di procedura civile non si applicano.
Nessun dubbio, pertanto, che risultano estensibili le altre norme dettate dal codice di rito civile previste per la notificazione degli atti processuali anche a quelli amministrativi (qual è un atto tributario), anche perché la precedente lettera e) dispone che “quando nel Comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l'avviso del deposito prescritto dall'art.140 del codice di procedura civile, in busta chiusa e sigillata, si affigge nell'albo del Comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione”.

La circostanza di fatto rilevante per la cennata norma tributaria – espressamente derogatoria di quella processuale civilistica – è che oggettivamente non vi sia alcun luogo conosciuto nell’ambito di quel comune (“irreperibilità assoluta”) in base all’ordinaria attività che il messo notificatore deve effettuare, mentre se il novello luogo di domicilio è conoscibile (“irreperibilità relativa”), occorre anche l’invio al nuovo indirizzo della comunicazione (mediante raccomandata con avviso di ricevimento) del deposito dell’atto presso l’albo comunale ai sensi del citato articolo 140 cpc.

La giurisprudenza dei giudici di legittimità è appunto nel senso che soltanto nell'ipotesi in cui nel comune dove la notifica deve essere effettuata non si rinvenga l'effettiva abitazione, l'ufficio o la sede del contribuente, la stessa può essere eseguita nei modi previsti dalla lettera e) dell'articolo 60 del Dpr 600/1973 e, in caso contrario, la notificazione deve essere invece effettuata nel rispetto delle forme prescritte dall'articolo 140 cpc, come si evince sin dalla decisione della Suprema corte 26 maggio 1997, n. 4654.
Il Supremo collegio, nella sentenza 4 maggio 2009, n. 10177, aveva affermato che la notificazione dell'avviso di accertamento deve essere effettuata secondo il rito previsto dall'articolo 140 cpc, quando siano conosciuti la residenza e l'indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perché questi (o altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, da dove tuttavia non risulta trasferito. Pertanto, è stato ritenuto che la notifica deve essere effettuata mediante deposito dell’atto alla casa comunale, affissione dell’avviso di detto deposito alla porta dell’abitazione o dell’azienda e invio della relativa raccomandata con ricevuta di ritorno, applicandosi la disciplina di cui all’articolo 60, lettera e), del Dpr 600/1973 – sostitutivo, per il procedimento tributario, dell'articolo 143 cpc – invece applicabile soltanto quando il messo notificatore non reperisca il contribuente risultato trasferito in luogo sconosciuto.

La pronuncia della Corte di cassazione in commento si segnala laddove tiene conto della sentenza della Corte costituzionale 12 gennaio 2010, n. 3, per la quale è costituzionalmente illegittimo, per violazione del diritto di difesa, l’articolo 140 cpc, in tema di notifica col rito degli irreperibili, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. La specifica previsione della lettera e) dell’articolo 60 della decorrenza dei termini di notifica decorsi otto giorni dal deposito presso la Casa comunale dovrebbe essere ritenuta non interessata dalla suddetta pronuncia della Consulta, in quanto risulta salva l’esigenza della conoscibilità dell’atto notificato “postulata dal generale principio di garantire l'effettività del contraddittorio e del diritto di difesa e, quindi, rilevante agli effetti della validità della notificazione”.

E proprio tale esigenza è posta alla base della decisione in rassegna laddove pretende che il messo notificatore, prima di procedere alla notifica, debba effettuare, nel comune del domicilio fiscale del contribuente, le ricerche dirette a verificare la sussistenza dei presupposti per operare la scelta, tra le due citate possibili opzioni, del procedimento notificatorio dipendente dalla ricerca del nuovo domicilio nell’ambito dello stesso comune del precedente domicilio.
L’effetto di tale differente situazione di fatto è il contenuto dell’attestazione del messo notificatore delle ricerche funzionali ad accertare che il mancato rinvenimento del destinatario dell'atto sia dipeso da irreperibilità relativa, se il trasferimento si sia verificato nell'ambito dello stesso comune, oppure da irreperibilità assoluta, rinvenibile quando nel comune già sede del domicilio fiscale, il contribuente non risulti avere né abitazione né ufficio o azienda.
La Corte di legittimità rimarca che tale attività di ricerca deve risultare dalla relativa relata di notifica e, comunque, emergere, inequivocabilmente, dagli atti prodotti dal messo notificatore, così come prescritto dall'articolo 148, cpc, comma 2, ove viene ben statuito che l'ufficiale giudiziario, nel certificare l'eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all'originale e alla copia dell'atto, deve indicare la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna, “oppure le ricerche, anche anagrafiche, fatte dall'ufficiale giudiziario, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario”.
In buona sostanza, l’apodittica affermazione dei giudici di merito dell’invalidità della notifica dell'avviso di accertamento “per non essere stata prodotta la cartolina attestante il ricevimento” risulta giuridicamente decisiva soltanto se si tratta di irreperibilità assoluta e non anche di quella relativa, differenza emergente dalla relata di notifica del messo che fa fede fino a querela di falso.

Si rammenta, come segnalato anche dalla sentenza in nota, che la Corte costituzionale, nella sentenza 22 novembre 2012, n. 258, ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 26 del Dpr 602/1973, terzo comma (corrispondente al vigente quarto comma), nella parte in cui dispone(va) che, nei casi previsti dall’articolo 140 del codice di procedura civile, la notificazione della cartella di pagamento si esegue con le modalità stabilite dall’articolo 60 del Dpr 600/1973, ossia mediante soltanto affissione all’albo comunale, invece di prevedere che quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del contribuente, la notificazione della cartella di pagamento si esegue con le modalità stabilite dall’articolo 60, primo comma, alinea e, lettera e), del Dpr 600/1973.
Pertanto, i giudici delle leggi hanno statuito che nei casi di irreperibilità “relativa” (cioè nei casi di cui all’articolo 140 cpc in cui il domicilio è noto, ma il soggetto è momentaneamente irreperibile), sarà applicabile, con riguardo alla notificazione delle cartelle di pagamento, il disposto dell’ultimo comma dello stesso articolo 26 del Dpr 602/1973, il quale – rinviando all’articolo 60 del decreto 600/1973 – rende applicabile, in base all’interpretazione data a tale normativa dal diritto vivente, l’articolo 140 cpc, ossia mediante invio di raccomandata A/R.

Irreperibilità relativa o assoluta, gianni cassetta commercialista olbia, commercialista olbia, studio commerciale olbia, studio commerciale gianni cassetta, 

mercoledì 18 settembre 2013

Ristrutturazioni edilizie e riqualificazione energetica: come cambiano le norme


Da www.fisco7.it
Le disposizioni in materia di ristrutturazione e di risparmio energetico cambiano ancora, ma stavolta in favore del contribuente. Dopo l’introduzione del D.L. n. 83 del 2012, l’attuale esecutivo ha approvato un nuovo decreto che si preoccupa di aumentare la misura della detrazione e di estenderne l’ambito di applicazione. Il D.L. n. 63 del 2013, infatti, modifica sia la disciplina prevista per le ristrutturazioni edilizie sia quella per il risparmio energetico. Ecco una sintesi di tutte le novità.

Ristrutturazioni edilizie
Come noto, a seguito dell’intervento del D.L. n. 83 del 2012, la detrazione fiscale del 36% è stata aumentata fino a raggiungere la misura del 50% per le spese sostenute entro lo scorso 30 giugno 2013. L’art. 16 del D.L. n. 63 del 2013 ha esteso la “vecchia” scadenza al 31 dicembre 2013 e ha lasciato immutata la soglia di spesa di euro 96 mila annui sostenuta per ciascuna unità immobiliare. A tale proposito, infatti, si deve osservare che il precetto normativo del 2013 fa esplicito riferimento al decreto n. 83 del 2012 che aveva, appunto, ampliato la soglia di spesa da euro 48 mila a euro 96 mila.
Inoltre, si ricorda che non mutano le procedure necessarie per accedere all’agevolazione in esame e nemmeno gli incentivi ammessi all’agevolazione.
Acquisto di mobili ed elettrodomestici
L’articolo 16, comma 2, del D.L. n. 63 del 2013 ha introdotto una “particolare” misura agevolativa per favorire la ripresa del tessuto produttivo del comparto della lavorazione del legno.
E’ opportuno precisare che l’agevolazione in esame spetta solamente ai contribuenti che usufruiscono della detrazione per la ristrutturazione edilizia e, quindi, non è possibile usufruirne autonomamente. In altri termini, la detrazione è ammessa solamente per acquistare i mobili di un immobile oggetto di ristrutturazione. Come per la detrazione per le ristrutturazioni, la misura dell’agevolazione è pari al 50% e deve essere ripartita a rate costanti in 10 anni. La somma ammessa all’agevolazione è pari, al massimo, a euro 10 mila.
Per usufruire dell’agevolazione, inoltre, è necessario, come previsto dal D.L. n. 83 del 2012, richiamato dal D.L. n. 63 del 2013, che tali spese siano sostenute entro il 31 dicembre 2013 e che i pagamenti dei mobili siano effettuati attraverso il cosiddetto bonifico “parlante”, indicando nella causale del versamento la disposizione normativa di riferimento, il codice fiscale del contribuente cui spettano le agevolazioni e il codice fiscale o la partita IVA del soggetto a favore del quale è effettuato il bonifico.
Infine, si ricorda che l’agevolazione del 50% si applicherà anche all’acquisto di grandi elettrodomestici purché siano asserviti all’immobile oggetto di ristrutturazione e siano di classe energetica non inferiore alla A+ (a eccezione dei forni per i quali la classe energetica può essere la A). Si ricorda che possono rientrare nell’agevolazione grandi elettrodomestici come lavatrici, lavastoviglie, forni, frigoriferi, piani cottura, etc. purché rispettino la classe energetica sopra evidenziata.
Riqualificazione energetica ed Ecobonus
In base alle disposizioni del D.L. n. 63 del 2013, la misura della detrazione per interventi di riqualificazione energetica viene innalzata dal 55% al 65%. Tale previsione, tuttavia, potrà essere applicata soltanto per le spese sostenute a decorrere dal 6 giugno 2013 (data di entrata in vigore del decreto) fino al 31 dicembre 2013. E’ evidente che il legislatore ha voluto anticipare i tempi di applicazione della nuova disposizione agevolativa; tale misura, infatti, entra in vigore ancor prima che la precedente disposizione, seppur favorevole per il contribuente, cessi gli effetti. In altri termini:
·        per le spese sostenute fino al 5 giugno 2013 (e non fino al 30 giugno), la detrazione applicabile sarà pari al 55%;
·        per le spese sostenute a decorrere dal 6 giugno, la detrazione di cui potrà beneficiare il contribuente è stata elevata al 65%.
L’agevolazione così ottenuta potrà essere portata in detrazione, a rate costanti, in 10 anni e dovrà essere indicata nel modello 730/2014 o modello Unico 2014.
In merito all’agevolazione in esame, inoltre, è bene segnalare che la legge n. 90 del 2013 ha migliorato (per il contribuente) il D.L. n. 63 del 2013. Il testo del decreto originario, infatti, non aveva procrastinato la detrazione sulle spese per la sostituzione degli impianti di riscaldamento con pompe di calore ad alta efficienza e impianti geotermici a bassa entalpia, nonché gli oneri per la sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda e sanitaria. Tuttavia, l’articolo 14 del decreto, come modificato dalla suddetta legge di conversione, n. 90 del 2013, ha reintrodotto tale agevolazione rimuovendo il predetto limite.
Le novità per i condomini
In favore dei condomini, il D.L. n. 63 del 2013 stabilisce che la detrazione del 65% per la riqualificazione energetica è ammessa per gli oneri sostenuti dal 6 giugno 2013 fino al 30 giugno 2014. In altri termini, i tempi per usufruire dell’agevolazione sono estesi di ulteriori 6 mesi. Secondo la relazione illustrativa al provvedimento in esame, questo lasso di tempo più ampio è stato concesso in favore dei soli condomini perché il sostenimento di tali spese è materia dell’assemblea straordinaria (che richiede tempi più lunghi) e perché l’iter burocratico è più articolato. La relazione di cui sopra, infatti, stabilisce che “una siffatta durata del regime incentivante potenziato, stabilita in misura maggiore per le spese sostenute per gli stabili condominiali, è dovuta al maggior tempo necessario per la progettazione, l’espletamento delle procedure autorizzative e l’attuazione degli interventi riguardanti i predetti stabili di notevole entità. Si è voluto perseguire, nel contempo, l’obiettivo di favorire una riqualificazione energetica degli edifici condominiali, che presentano consumi energetici superiori alla media italiana già di per sé abbastanza alta rispetto a quella di altri paesi dell’Unione europea, anche in considerazione della loro epoca di costruzione”.
Massimo D’Amico – Centro Studi CGN

Ristrutturazioni edilizie e riqualificazione energetica, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale olbia, studio commerciale gianni cassetta, 

martedì 10 settembre 2013

Versamenti carenti da parte dei contribuenti: l'Agenzia delle Entrate fornisce alcuni chiarimenti.

Da http://www.misterfisco.it/

Nella Circolare n. 27 del 2 agosto 2013, l'Agenzia delle Entrate ha dato risposta ad una serie di richieste di chiarimenti in merito ad alcune problematiche relative ad errati versamenti effettuati dai contribuenti.

Le questioni affrontate dall'Agenzia delle Entrate riguardano, in particolare, i versamenti del saldo dovuto con riferimento alla dichiarazione dei redditi, compreso il saldo Iva, e del primo acconto Irpef, Ires ed Irap.


I termini previsti dal legislatore per tali versamenti sono due: il 16 giugno ed i successivi trenta giorni. Se il versamento è effettuato nel termine più ampio, è comunque tempestivo, ma l'imposta è incrementata di una maggiorazione dello 0,40 % e quest'ultimo importo si configura come parte del tributo.


La maggiorazione è versata a titolo di interesse corrispettivo: corrispettivo dovuto all'ente creditore per il vantaggio che il contribuente ottiene dalla disponibilità di una somma di denaro che spetta al creditore. La maggiorazione in questione è versata congiuntamente all'imposta dovuta, senza neanche distinzione di codice tributo.


Se viene versato nel "termine lungo" un importo inferiore a quello effettivamente dovuto, il versamento non deve essere considerato tardivo, ma soltanto insufficiente e la sanzione, da applicarsi nella misura ordinaria del 30 % dell'importo non versato, deve essere calcolata sulla differenza tra quanto versato e quanto dovuto (imposta più la maggiorazione).


L'Agenzia delle Entrate ha precisato che in questo caso non ha rilevanza stabilire se il contribuente abbia versato soltanto l'imposta e non la maggiorazione o se abbia eseguito un versamento insufficiente sia per l'imposta che per la maggiorazione. Non vi è distinzione tra l'imposta e la maggiorazione e ciò che rileva è semplicemente che il versamento è nel suo complesso insufficiente.


Il contribuente può decidere di regolarizzare l'errore commesso mediante il ravvedimento operoso. In tal caso, dovrà versare, entro trenta giorni dalla scadenza del "termine lungo", quanto dovuto a titolo di tributo, comprensivo della maggiorazione dello 0,40 %, i relativi interessi moratori, calcolati al tasso legale dalla scadenza del "termine lungo" al giorno di effettuazione del pagamento, e la sanzione ridotta pari al 3 % dell'importo versato in ritardo (tributo + maggiorazione dello 0,40 %).


Altrimenti, la regolarizzazione può essere effettuata mediante il pagamento, entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel quale è stata commessa la violazione, di quanto dovuto a titolo di tributo, comprensivo della maggiorazione dello 0,40 %, dei relativi interessi moratori, calcolati al tasso legale dalla scadenza del "termine lungo" al giorno di effettuazione del pagamento, e della sanzione ridotta pari al 3,75 % dell'importo versato in ritardo (tributo + maggiorazione dello 0,40 %).


Nel caso in cui si sia voluto beneficiare del ravvedimento, ma il versamento dell'imposta in sede di ravvedimento sia stato insufficiente, l'Agenzia ha chiarito che il ravvedimento può considerarsi perfezionato anche solo parzialmente, limitatamente all'importo versato entro la scadenza del termine per il ravvedimento.
I termini per il ravvedimento cominciano a decorrere dalla scadenza del termine entro il quale si è scelto di eseguire il versamento originario che si intende correggere (16 giugno o 16 luglio). Se, invece, non è stato effettuato dal contribuente alcun versamento entro i termini predetti, il termine da considerare è sempre quello del 16 giugno.

Una volta scaduti i termini per il ravvedimento, l'eventuale somma che deve essere ancora versata non potrà beneficiare della riduzione delle sanzioni ed esse verranno, quindi, applicate nella misura ordinaria del 30 %, insieme agli interessi con decorrenza dalla scadenza del termine di versamento scelto dal contribuente (16 giugno o 16 luglio).

Nella Circolare, l'Agenzia delle Entrate si è occupata anche della situazione più complessa nella quale il contribuente, in sede di ravvedimento, non solo non ha versato l'intero importo dovuto a titolo di imposta, ma ha versato anche delle sanzioni e degli interessi non correttamente commisurati all'imposta versata a titolo di ravvedimento. In questo caso, il ravvedimento è perfezionato limitatamente alla quota parte dell'imposta proporzionata all'importo complessivamente corrisposto a vario titolo.

Nel modello F24 utilizzato dal contribuente per il versamento effettuato in sede di ravvedimento deve comunque essere stata imputata parte del versamento all'assolvimento delle sanzioni.
Sulla parte non sanata con il ravvedimento verranno applicate le sanzioni nella misura ordinaria e gli interessi calcolati con decorrenza dalla data del 16 giugno o del 16 luglio a seconda della data dell'originario versamento.
Altri chiarimenti sono stati forniti dall'Agenzia delle Entrate in merito ad eventuali versamenti carenti effettuati dai contribuenti in sede di definizione dell'accertamento.

L'ipotesi presa in considerazione è stata, in particolare, quella dell'acquiescenza all'avviso di accertamento. Il contribuente, in questo caso, può versare, entro il termine di presentazione del ricorso, le somme dovute a titolo di imposte, interessi e sanzioni applicate in misura agevolata. Il contribuente può anche definire soltanto le sanzioni e riservarsi il diritto di presentare eventualmente il ricorso per le imposte e per gli interessi. In quest'ultimo caso, versa soltanto le sanzioni nella misura agevolata.

La questione si pone se il contribuente vuole beneficiare della definizione agevolata, ma incorre in un errore materiale o di calcolo, così da versare somme in misura inferiore a quella dovuta. L'acquiescenza potrà considerarsi validamente perfezionata, purché la differenza tra quanto dovuto e quanto pagato sia di lieve entità. La definizione si perfezionerà una volta integrato l'importo dovuto dal contribuente.



Versamenti carenti da parte dei contribuenti, studio commerciale olbia, studio commerciale gianni cassetta, gianni cassetta commercialista olbia, 

martedì 3 settembre 2013

Novità in materia di srl semplificate ed ordinarie: confermata l’abolizione delle s.r.l. a capitale ridotto


Fra le modifiche apportate dalla legge di conversione del DL 76/2013 si segnalano, in particolare:
i) l'abolizione della società a responsabilità limitata a capitale ridotto;
ii) l'introduzione della possibilità di costituire srl ordinarie con capitale anche inferiore ai diecimila euro;
iii) la riforma della società a responsabilità limitata semplificata (art. 2463-bis c.c.), con la soppressione del limite di partecipazione
di soci con meno di 35 anni. Come si può ben notare, l’intento del legislatore è stato sostanzialmente quello di creare un unico modello di srl “semplice”. A conferma di quanto detto, sono stati abrogati anche i primi quattro commi dell’art. 44 del DL 83/2012 recante disposizioni in materia di srl a capitale ridotto: le srl a capitale ridotto (già iscritte al registro delle imprese alla data di entrata in vigore del presente decreto) dovranno assumere, peraltro, per espressa previsione normativa, la qualifica di società a responsabilità limitata semplificata. In sede di conversione in legge del decreto lavoro è stata, peraltro, definitivamente sancita la non
modificabilità del modello standard di statuto, pubblicato in data 14 agosto 2012 in Gazzetta Ufficiale, ed in vigore dal 29 agosto 2012, previsto per la costituzione della srl semplificata.
Per quanto riguarda la srl ordinaria, alla luce delle novità della legge di conversione del DL 76/2013, si potrà costituire tale società con capitale sociale inferiore ai diecimila euro (purché non inferiore a 1 euro).
In questo caso: i) non possono essere effettuati conferimenti diversi dal denaro; ii) i conferimenti in denaro vanno per intero versati agli amministratori della società; iii) una somma pari a un quinto degli utili netti risultanti dal bilancio di ogni esercizio deve essere mandata a formare la riserva legale, fino a che il patrimonio netto della società non abbia raggiunto la soglia di diecimila euro; iv) tale riserva può essere utilizzata solo per imputarla a capitale sociale o per copertura di eventuali perdite e deve essere sempre
reintegrata in tutti i casi in cui risulta diminuita per qualsiasi ragione. Infine, per tutte le srl viene disposta l'abolizione del versamento in banca del capitale iniziale: i conferimenti in denaro dovranno essere affidati all’organo amministrativo.

Copyright La Lente sul Fisco

srl semplificate ed ordinarie, gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale gianni cassetta, studio commerciale olbia, 

lunedì 2 settembre 2013

Comunicazione beni ai soci: si parte dai beni e finanziamenti concessi a decorrere dal 2012

Da http://www.lalentesulfisco.it/

L'Agenzia delle Entrate, con provvedimento prot. 94902 del 2.8.2013, ha recepito le
semplificazioni relative alla comunicazione dei beni concessi in godimento ai soci o ai
familiari dell'imprenditore, prorogando il termine di presentazione, con riferimento al 2012, al 12.12.2013, in luogo della scadenza prevista per il prossimo 15 ottobre 2013. Nulla dovrà essere comunicato per quanto concerne i beni aziendali concessi in godimento al socio nei periodi d’imposta precedenti (2011 e precedenti), se il possesso del bene non si sia protratto anche nel periodo d’imposta 2012.

Il provvedimento in esame esclude, tra l'altro, 
dal suddetto obbligo:
i) i beni concessi in godimento agli amministratori;
ii) i beni
concessi in godimento al socio dipendente o lavoratore autonomo, qualora detti beni
costituiscano fringe benefit;
iii) i beni concessi in godimento all'imprenditore individuale;
iv)
i beni concessi in godimento al socio o familiare dell'imprenditore, inclusi nella categoria
"altro" del modello, di valore non superiore a 3.000 euro, al netto dell'IVA;
v) i
finanziamenti concessi ai soci o ai familiari dell'imprenditore. Con un altro provvedimento
prot. 94904 del 02.08.2013, la medesima Agenzia delle Entrate precisa che l'obbligo di
comunicazione dei dati dei soggetti che hanno concesso all'impresa finanziamenti o
capitalizzazioni sussiste qualora nell'anno di riferimento l'ammontare complessivo dei
versamenti sia pari o superiore a 3.600 euro; tale limite è riferito, distintamente, ai
finanziamenti annui ed alle capitalizzazioni annue.

Inoltre, è escluso dall'obbligo di 
comunicazione qualsiasi apporto di cui l'Amministrazione finanziaria sia già in possesso (ad esempio, finanziamento effettuato per atto pubblico o scrittura privata autenticata).

Per i 
finanziamenti e le capitalizzazioni ricevuti a decorrere dal 2012 la comunicazione deve essere effettuata entro il 12.12.2013. Per entrambe le predette comunicazioni valgono, quindi, le medesime decorrenze: nei provvedimenti direttoriali è previsto che per l’anno 2012 il termine è fissato al 12 dicembre 2013. A regime, invece, la scadenza è fissata entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento.

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