mercoledì 23 ottobre 2013

VIES: Autorizzazione per le operazioni intracomunitarie

Di Gianni Cassetta, commercialista ad Olbia

La pubblicazione dei Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle Entrate (del 29 dicembre 2010 Prot. n. 2010/188376 e Prot. n. 2010/188381) ha dato di fatto attuazione all’obbligo previsto dal D.L. n. 78/2010, cioè  l’obbligo per un Soggetto Passivo Iva di dichiarare la propria volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie. Ciò sostanzialmente al fine di contrastare le frodi Iva in ambito comunitario rispondendo così alle sollecitazioni espresse dalla Commissione europea al riguardo.
Il Provvedimento 29 dicembre 2010 Prot. n. 2010/188376 ha stabilito che i soggetti che iniziano un’attività in Italia (inclusi, sembra doversi ritenere, i rappresentanti IVA di soggetti non residenti), oppure vi istituiscono una stabile organizzazione, se intenzionati ad effettuare le operazioni intracomunitarie di cui al titolo II, capo II, del D.L. n. 331/1993, devono essere autorizzati dall’Agenzia delle Entrate.
L'inserimento nell'archivio Vies è subordinato alla presentazione della domanda/comunicazione scritta all’Agenzia delle Entrate competente per territorio per la richiesta di iscrizione nell'archivio da parte dell’ineteressato.
Dopo il deposito del modello di richiesta di iscrizione nell'archivio scatta un periodo di 30 giorni, durante il quale non possono essere validamente effettuate operazioni comunitarie: tale periodo di 30 giorni di attesa è obbligatorio e non consente nessuna operazione, ne attiva ne passiva.
L’Agenzia delle Entrate, durante questi 30 giorni, effettua controlli e verifiche sull’azienda che ha richiesto l’iscrizione al VIES; qualora emergano elementi di rischio relativi a finalità evasive o di frode, procederà ad emettere un provvedimento motivato di rifiuto dell'iscrizione. A seguito del rifiuto dell'Agenzia, al contribuente sarà precluso l'inserimento nell'archivio Vies.
Al contrario, se non vi sono comunicazioni, il soggetto richiedente sarà incluso automaticamente nell'archivio Vies a partire dal trentunesimo giorno successivo alla presentazione dell'istanza.
Posto dunque che l’iscrizione al VIES fugherebbe ogni problematica, ci si potrebbe porre l’interrogativo di cosa potrebbe accadere qualora non si procedesse alla iscrizione nell’archivio VIES, ovvero se tale iscrizione venisse respinta dall’Agenzia delle Entrate.
Ebbene in primis la mancata iscrizione VIES del soggetto comunitario non certo fa venire meno la sua qualifica di soggetto passivo IVA; questo sebbene la Circolare n. 39/E del 1° agosto 2011 abbia chiarito, riferendosi ai soggetti passivi stabiliti in Italia, che l’omessa iscrizione in tale archivio fa venire meno lo status di soggetto passivo IVA.
Per confutare ciò si deve fare ricorso alla costante giurisprudenza della Corte di giustizia europea (si veda per esempio, la Sentenza del 27 settembre 2007, causa C-146/05); con questa giurispudenza di merito la Corte - con specifico riferimento alle cessioni intracomunitarie di beni - ha stabilito che tutti i provvedimenti adottati dai paesi che dovessero prevedere degli obblighi di forma relativi alla contabilità, alla fatturazione, alla presentazione degli elenchi INTRASTAT, nonché alle prove che i soggetti passivi sono tenuti a fornire per beneficiare del regime della non imponibilità, non devono eccedere quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e non possono quindi essere utilizzati in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’IVA, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia.
In buona sostanza la Corte di giustizia europea ha statuito un principio fondamentale in base al quale “… un provvedimento nazionale che essenzialmente subordini il diritto all’esenzione di una cessione intracomunitaria al rispetto di obblighi di forma senza prendere in considerazione i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano soddisfatti, eccede quanto è necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta …”.
È importante dunque sapere che dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea emerge che se una cessione soddisfa le condizioni previste dall’art. 28-quater, punto A, lettera ), comma 1, della VI Direttiva, nessuna IVA è dovuta per tale genere di cessione.
Alle stesse conclusioni perviene anche la Suprema Corte di Cassazione attraverso le Sentenze del 28 maggio 2007, nn. 12454 e 12455; in queste sentenze si afferma che “… la tesi avanzata dall’Amministrazione, secondo cui diverrebbero imponibili le operazioni di cessione per il solo fatto che la società abbia omesso di indicare in fattura il codice identificativo del cessionario estero intracomunitario, si pone in aperto contrasto non solo con le disposizioni del DL n. 331/1993 [artt. 41, comma 1, lett. a), e 50, comma 1] che non contengono tale esplicita comminatoria ma anche con i principi di diritto comunitario secondo i quali non può la medesima operazione essere assoggettata ad imposizione sia nel paese di origine dei beni che in quello di destinazione degli stessi, con un’inammissibile duplicazione d’imposta”.
Ebbene è da evidenziare che proprio in una recente sentenza (la C-273/11, emessa in data 6 settembre 2012) la Corte di giustizia dell’Unione Europea mette ancora una volta in dubbio la posizione dell’Agenzia delle Entrate italiana che nega la possibilità di effettuare, da parte del soggetto passivo IVA, operazioni intracomunitarie nel caso in cui non vi fosse la preventiva iscrizione al VIES.
La Corte infatti afferma che “l’esenzione di una cessione intracomunitaria, ai sensi dell’art. 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, come modificata dalla direttiva 2010/88, non può essere negata al venditore per la sola ragione che l’amministrazione tributaria di un altro Stato membro ha proceduto a una cancellazione del numero d’identificazione IVA dell’acquirente che, sebbene verificatasi dopo la cessione del bene, ha prodotto effetti, in modo retroattivo, a una data precedente a quest’ultima”.
Un’altra sentenza della Corte di Giustizia UE (causa C-284/11del 12 luglio 2012) ha asserito come la mancata registrazione ai fini IVA di un operatore economico non possa comunque privarlo del diritto alla detrazione dell’imposta assolta a monte, se sussistono tutti i presupposti sostanziali per il suo esercizio. I giudici europei, in particolare, hanno sottolineato come l’obbligo di dichiarare l’inizio della propria attività (VIES) non sia di per un elemento costitutivo del diritto alla detrazione per il soggetto passivo, ma solo una formalità richiesta per effettuare i necessari controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Interessante poi è senza dubbio la causa C-324/11 sempre della Corte Europea, la quale si è concentrata sulla nozione di “soggetto passivo” delineata dall’art. 9, par. 1, Direttiva 2006/112.
Secondo tale sentenza viene considerato “soggetto passivo” - ai sensi dell’art. 9, par. 1 Direttiva 2006/112 - chiunque eserciti, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, a prescindere dallo scopo o dai risultati dell’attività medesima.
Tale nozione di “soggetto passivo” è definita in modo ampio, sulla base di circostanze di fatto; da essa di certo non risulta che lo status di soggetto passivo dipenda da una qualsivoglia autorizzazione o licenza concessa dall’Amministrazione ai fini dell’esercizio di un’attività economica (a parte il rilascio della Partita Iva o di analogo elemento identificativo).
Secondo la Corte infatti, ancorché la Direttiva 2006/112 dispone che ogni soggetto passivo deve dichiarare l’inizio, il cambiamento e la cessazione della propria attività in qualità di soggetto passivo, tuttavia l’iscrizione VIES non può costituire una condizione supplementare richiesta ai fini del riconoscimento dello status di soggetto passivo ai sensi dell’art. 9, par. 1, della stessa Direttiva.
Vi sono poi ulteriori Sentenze che di fatto risultano essere tutte in forte contrasto con quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria italiana.
In conclusione, sebbene la richiesta della preventiva iscrizione al VIES sia una ennesima burocratizzazione della vita di un soggetto passivo, conviene sempre predisporre la domanda da presentare all’Agenzia delle Entrate competente; nel caso però in cui venisse emesso un avviso di accertamento nei confronti dei contribuenti per la mancata iscrizione al VIES (andando di fatto a rideterminare il luogo di tassazione IVA) sembra ragionevole presentare ricorso alla competente Commissione Tributaria.


VIES: Autorizzazione per le operazioni intracomunitarie, studio commerciale olbia, studio commerciale gianni cassetta, 

sabato 5 ottobre 2013

Tre infrazioni: due prima, una dopo, a legge operativa. Ok alla chiusura

Pubblicata su FiscoOggi.it (http://www.fiscooggi.it)

Siamo nell’ambito della norma che prevedeva la sospensione dell’esercizio dell’attività in caso di tripla
mancata emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale In materia di sanzioni amministrative tributarie, l’articolo 12, comma 2, Dlgs 471/1997, trova applicazione anche qualora le prime due infrazioni siano state commesse in data anteriore all’entrata in vigore del decreto, purché la terza avvenga sotto la
vigenza della nuova disposizione.

Per l'applicazione della sanzione, inoltre, i presupposti sono il compimento di tre distinte violazioni nel quinquennio – il cui dies a quo va identificato nel giorno in cui è commessa la prima – e il definitivo accertamento di esse in tempi diversi.
Infine, la disciplina sanzionatoria richiamata ha carattere speciale, per cui la sua applicazione non è impedita dalla definizione agevolata, ex articolo 16, comma 3, Dlgs 472/1997.
Questi, in sintesi, i principi di diritto enunciati dalla Cassazione nella pronuncia n. 21565 del 20 settembre.
I fatti in causa La controversia concerneva l'impugnazione di un avviso di irrogazione sanzioni, ex articolo 12, comma 2, Dlgs 471/1997, per mancata emissione di scontrini fiscali per tre volte in un quinquennio.
La Ctp accoglieva le eccezioni della parte privata; di contro, la Ctr si mostrava favorevole alle argomentazioni del Fisco.

Il contribuente proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di diritto:
1. commissione di due violazioni su tre prima dell'entrata in vigore della disposizione richiamata
2. mancata considerazione del definitivo accertamento delle violazioni, ai fini della recidiva
3. non irrogabilità della sanzione accessoria, in caso di definizione agevolata di quella principale.
Le motivazioni della sentenza I giudici di legittimità considerano tutti i motivi di ricorso infondati.
Quanto al primo, la Cassazione enuncia il seguente e chiaro principio: “la sanzione della chiusura dell'esercizio commerciale … si applica in tutti i casi in cui la terza delle suddette infrazioni sia stata commessa dopo l'entrata in vigore del … D.Lgs. 471/97 ed entro cinque anni dalla prima, a nulla rilevando che le due infrazioni precedenti siano state commesse prima dell'entrata in vigore della norma sanzionatoria”.
In sostanza, l’illecito è consumato al momento della commissione della terza violazione, “… sicché non si verte in un'ipotesi di successione di norme sanzionatorie o di applicazione di quella più favorevole” (cfr Cassazione, pronuncia 29388/2008).
In ordine alla seconda doglianza, prosegue la Corte, la sanzione è prevista “qualora siano state definitivamente accertate, in tempi diversi, tre distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi nel corso di un quinquennio”. Dunque, elemento sufficiente è che le violazioni si verifichino in tre momenti distinti, in mancanza dei presupposti per l’applicazione degli istituti del concorso ovvero della continuazione.
In ultimo, conferma il principio secondo cui l’articolo 12 del Dlgs 471/1997 è norma speciale: di conseguenza, l'irrogazione della sanzione in esame non è osteggiata dalla definizione agevolata prevista dall'articolo 16, comma 3, Dlgs 472/1997 (cfr Cassazione, n. 2439/2007 e successive conformi).
Conclusioni Anzitutto, premettiamo che la sanzione in argomento è stata modificata dal legislatore della Finanziaria 2008 (legge 244/2007) che, in un’ottica di contenimento del rigorismo sanzionatorio, richiede oggi quattro, e non più tre, distinte violazioni dell’obbligo di emettere scontrino o ricevuta fiscale per irrogare le sanzioni accessorie.
Tra i principi di diritto espressi dalla Cassazione, focalizziamo ora la nostra attenzione sul rapporto tra la sanzione di cui abbiamo finora parlato (articolo 12 del Dlgs 471/1997) e la previsione di cui all'articolo 16, comma 3, Dlgs 472/1997, la quale dispone che “la definizione agevolata” – ossia il “pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata”, “comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali”, entro il termine per proporre ricorso – “impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie”.
Ebbene, il ricorrente riteneva che la definizione agevolata impedisse l’irrogabilità della sanzione accessoria della chiusura dell'attività. Tuttavia, proprio in base all’orientamento consolidato della Cassazione, prevale la norma sanzionatoria speciale. In caso contrario, il principio “lex specialis derogat generali”, fondante il nostro ordinamento giuridico, sarebbe inopinatamente trasgredito, per far prevalere una sorta di “favor rei” non prevista dalla normativa di riferimento.

Martino Verrengia

gianni cassetta commercialista olbia, studio commerciale gianni cassetta, 

Gli “appunti” dell’imprenditore bastano a individuare l’evasione

Pubblicata su FiscoOggi.it (http://www.fiscooggi.it)

Anche un mero “manoscritto” rientra, infatti, tra le scritture contabili che rappresentano la situazione
patrimoniale dell’azienda e il risultato economico dell’attività
La contabilità in nero, che può ben essere costituita da appunti scritti a mano
dall'imprenditore, ha valore probatorio e, pertanto, legittima di per sé, e a prescindere
dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all'accertamento induttivo di
cui all'articolo 39 del Dpr 600/1973.
Questo il principio di diritto stabilito dalla sezione tributaria della Corte di cassazione,
con la sentenza 4126 del 20 febbraio.

I fatti
La controversia verteva su un avviso di accertamento notificato a una società, che
svolgeva l'attività di commercio di opere d'arte, fondato sugli esiti di un pvc della
Guardia di finanza, la quale aveva rinvenuto, in sede di accesso, alcuni appunti
manoscritti dal rappresentante legale della stessa società, in cui vi erano annotate
numerose opere, nonché il loro valore di svariati miliardi di lire.
Sia una Ctp toscana sia la Ctr competente propendevano per le doglianze della contribuente, ritenendo che il manoscritto rinvenuto fosse un “mero indizio”, da corroborare – da parte dell'ufficio – con altri accertamenti, quali il controllo della contabilità, senza che potesse essere utilizzato come prova certa, tenuto anche conto della circostanza che taluni dei beni indicati si trovavano nell'abitazione del rappresentante legale e non presso la sede della società.
L'Agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione, eccependo, in sostanza, la violazione degli articoli 54 del Dpr 633/1972, e 39 del Dpr 600/1973, per aver la Ctr Toscana disconosciuto valore probatorio alla documentazione extracontabile, rinvenuta presso la sede sociale e pacificamente attribuibile al rappresentante legale della società accertata, e aver attribuito valenza dirimente al luogo dove si trovavano fisicamente le opere d'arte.

La sentenza
La Corte suprema, nell'accogliere il ricorso dell'ufficio, osserva come la “contabilità in nero”, che può essere costituita da appunti manoscritti dell'imprenditore, rappresenti un valido elemento indiziario, dotato di quei requisiti di gravità, precisione e concordanza, richiesti dall'articolo 39, Dpr 600/1973, e previsti dalla norma civilistica di cui all'articolo 2729 cc, per fondare di per sé un avviso di accertamento, senza che l'ufficio debba addurre ulteriori elementi.
Di conseguenza, richiamando la propria giurisprudenza precedente (cfr pronuncia 24051/2011), la Cassazione precisa come l'onere probatorio si sposti sul contribuente, che deve introdurre nel procedimento idonee prove contrarie rispetto alla “contabilità in nero”, se intende resistere alla prova presuntiva rinvenuta dall'ufficio. Quindi, il giudice del merito non può ritenere “probatoriamente irrilevante” la documentazione reperita, “senza che a tale conclusione conducano l'analisi dell'intrinseco valore delle indicazioni dalla stessa promananti e la comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti econ quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente” (cfr Cassazione, pronunce 19329/2006 e 3388/2010).
Infine, la Cassazione si premura di indicare come il fatto che parte dei beni indicati negli appunti si trovassero nell'abitazione del rappresentante legale della società e non nella sede sociale fosse “circostanza di per sé sola inidonea a dimostrare la non riferibilità dei beni stessi all'attività esercitata dalla società”.

Brevi riflessioni
Dall'analisi della pronuncia si può dedurre come il rinvenimento di “contabilità in nero” non abbia mero carattere indiziario ma rappresenti una piena e bastevole prova presuntiva di evasione. Anche il semplice “appunto manoscritto” rientra, infatti, tra le scritture contabili disciplinate dagli articoli 2709 e seguenti del codice civile, norme in cui devono essere ricompresi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore e il risultato economico dell'attività svolta (cfr Cassazione, pronuncia 5947/2009).
Ovviamente, l'interprete deve appurare che la “contabilità in nero” sia attendibile, anche rispetto agli altri dati acquisiti o che comunque emergano dalla contabilità ufficiale, pena, altrimenti, la sua irrilevanza.
In tal caso, al rinvenimento di documenti non ufficiali, è il contribuente che deve giustificarsi e opporre valide ragioni che 1destituiscano di fondamento la presunta veridicità della documentazione occultata, sconfessandone il valore o, meglio, adducendo ulteriori e diversi elementi, anche presuntivi. Se non ne è in grado, non può che trovare accoglimento la ricostruzione effettuata dall'ufficio, pur fondata unicamente su documenti extracontabili.

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