mercoledì 26 novembre 2014

DAL DECRETO SEMPLIFICAZIONI ASSIMILAZIONE DELLE SPESE SPONSORIZZAZIONE A QUELLE DI PUBBLICITÀ

Del Dott. Gianni Cassetta, dottore commercialista in Olbia


Il decreto sulle Semplificazioni Fiscali (si fa per dire) tra le altre norme ne ha prevista una che interessa sia la platea del cosiddetto “terzo settore” che ovviamente tutti coloro che si rapportano con esso.

Infatti il decreto in esame ha finalmente eliminato (o quanto meno dovrebbe eliminare) la querelle sulla distinzione tra prestazioni di pubblicità e di sponsorizzazione sia ai fini della deducibilità del costo che per la detrazione dell’iva; la ratio che ha spinto il legislatore ad inserire tale norma la si comprende dalla affermazione contenuta nella relazione illustrativa all’art. 29 del decreto sulle semplificazioni fiscali, dove si afferma che:
“La semplificazione è operata nell’ottica della riduzione del contenzioso” dovuto aggiungiamo noi  in particolare alla difficoltà di distinguere tra le prestazioni di pubblicità e di sponsorizzazione.

Gli interessi sono ovviamente reciproci:
dal lato del terzo settore usufruiscono di questa disposizione le seguenti categorie di soggetti:
- le associazioni sportive dilettantistiche che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo massimo di 250.000 euro;
- le associazioni senza scopo di lucro e le associazioni pro loco;
- le società sportive costituite sotto forma di società di capitali senza scopo di lucro
- le associazioni bandistiche e cori amatoriali, filodrammatiche, di musica e danza popolare legalmente costituite senza scopo di lucro.
L’art. 29 del decreto sulle semplificazioni fiscali modifica l’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 633/1972; grazie a questa modifica si aumenta al 50% la detrazione forfettaria IVA riconosciuta per le operazioni di sponsorizzazioni.

Ciò che maggiormente interessa dell’articolo 29 del decreto è però senza dubbio l’affermazione contenuta nella relazione illustrativa allo stesso articolo 29 dove si afferma che “La semplificazione è operata nell’ottica della riduzione del contenzioso”.
Questa affermazione – in base alla quale si è assunta l’assimilazione delle spese sponsorizzazione a quelle di pubblicità per evitare e ridurre il contenzioso - risulta essere di particolare importanza non solo per il contenzioso in essere - e che coinvolge il settore delle imposte dirette e delle indirette – ma anche per una estensione logica che potrebbe darsi a questa assimilazione.

A prima vista infatti sembrerebbe che la modifica introdotta dovrebbe interessare i soli soggetti che ricevono il finanziamento (ovvero beni o servizi), e cioè il terzo settorea parere di chi scrive invece la diversa qualificazione delle spese di sponsorizzazione “assimilate” a quelle di pubblicità dovrebbe poter rilevare anche per i soggetti che concedono la sponsorizzazione, con notevoli ricadute positive.

Vediamo il perché.

Prima del decreto semplificazioni normalmente accadeva che – soprattutto in caso di verifica fiscale - gli accertatori parificassero tout court le spese di sponsorizzazione a quelle di rappresentanza; questo determinava delle conseguenze deleterie per lo sponsor poiché tali erogazioni – alias sponsorizzazioni - venivano considerate deducibili per l’erogatore in misura forfettaria e solo in presenza dei requisiti di inerenza e congruità così come stabilito dal D. M. 19 novembre 2008.
In sostanza laddove vi fossero i requisiti (di inerenza e congruità) lo sponsor - a seguito della verifica fiscale o in base ad un suo prudenziale comportamento - poteva dedurre appunto in misura forfetaria (in base al volume dei ricavi dell’impresa) il costo sostenuto; in pratica fatto 100 la spesa di sponsorizzazione accadeva che allo sponsor venisse considerata deducibile solo una piccola percentuale di quel costo.
Ad aggravare la situazione poi ci pensava il trattamento riservato alle stesse Spese di Rappresentanza dal lato delle Imposte Indirette (IVA) che prevede per esse la totale indetraibilità dell’iva (il DPR 633/1972 all’art.19-bis1 lettera h afferma che “non è ammessa la detrazione dell’IVA relativa alle spese di rappresentanza….”).

Dopo il decreto semplificazioni e “nell’ottica della riduzione del contenzioso” accadrà che:
per il terzo settore
essendovi assimilazione delle spese sponsorizzazione a quelle di pubblicità, a costoro sarà riconosciuta la detrazione forfettaria dell’iva cosi come sancito dall’art. 74, comma 6, D.P.R. n. 633/1972; grazie ad esso si aumenterà al 50% la detrazione forfettaria IVA riconosciuta anche alle operazioni di sponsorizzazione e non solo a quelle di pubblicità.
Questi operatori all’atto della liquidazione dell’iva dovranno versare il 50% dell’iva esposta sia per le prestazioni di pubblicità che per quelle di sponsorizzazione.

Dal lato dello Sponsor
in virtù del decreto la diversa qualificazione delle spese di sponsorizzazione “assimilate” a quelle di pubblicità dovrebbe poter rilevare anche per i soggetti che concedono lo sponsor, con notevoli ricadute positive; infatti accadrà che per lo sponsor le spese di sponsorizzazione potrebbero essere integralmente deducibili nell’anno in cui sono state sostenute (oppure in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi),equivalendo a quelle di pubblicità, così come sancito dall’art. 108 TUIR.
Ed anche ai fini delle Imposte Indirette la ricaduta sarà evidentemente positiva poiché le spese di sponsorizzazione equivalendo a quelle di pubblicità vedranno riconosciuta la totale detraibilità dell’iva senza doversi scervellare in assurde interpretazioni tra le varie tipologie di spesa.

A questo punto è forse più semplice comprendere come la differente qualificazione delle spese sostenute da un soggetto che avesse erogato uno sponsor tra il comparto delle spese di pubblicità piuttosto che tra quelle di rappresentanza incide in misura sostanziale sia sulla deducibilità del costo sia sulla detraibilità dell’IVA.
Ed è proprio questa diversificazione (ed interpretazione ad unica via da parte del fisco) che ha provocato l’enorme contenzioso in essere, poiché l’Agenzia delle Entrate annovera in modo pressoché automatico le spese di sponsorizzazione tra quelle di rappresentanza, non tenendo minimamente conto che l’orientamento della Suprema Corte, ai fini della corretta qualificazione delle spese di sponsorizzazione, è quantomeno quello di verificare quale fosse la strategia aziendale.

Per l’ufficio verificatore il criterio che ha discriminato la scelta tra considerare una spesa come di rappresentanza piuttosto che di pubblicità è stato finora (e si spera non sarà più) la “diversità” degli obiettivi da raggiungere: venivano considerate spese di rappresentanza tutte quelle che hanno come obiettivo la crescita dell’immagine ed il maggior prestigio, mentre le spese di pubblicità o di sponsorizzazione hanno una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale e di clientela (per tutte, Cass., sentenza n. 15318 del 4 luglio 2014).

Si spera che l’interpretazione autentica del legislatore fughi d’ora in poi (e probabilmente anche per il passato per il principio del favor rei) ogni dubbio interpretativo assimilando le spese di sponsorizzazione una volta per tutte a quelle di pubblicità in tutti i comparti delle imposte.


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sabato 25 ottobre 2014

GLI APPORTI DEI SOCI NELLE SOCIETÀ DI CAPITALI


In questo articolo vorrei soffermarmi sull’argomento sempre attuale in ambito di diritto commerciale degli apporti dei soci nelle società di capitali sulla base della riforma introdotta il 01/01/2004 dal Dlgs. 6/2003; in particolare metterò a confronto le tesi dottrinali del Prof. Carlo Angelici (ordinario di diritto commerciale presso l’Università La Sapienza di Roma) e di U. Tombari, i quali si sono occupati a fondo della materia, citando inoltre la recente giurisprudenza concernente la questione.

Nella società di capitali gli apporti spontanei e i prestiti dei soci svolgono un ruolo significativo nella fase di finanziamento della società; grazie a questi strumenti la società viene dotata delle risorse necessarie per lo svolgimento della propria attività gestionale.

Gli apporti spontanei permettono ai soci di incrementare il patrimonio senza una formale imputazione al capitale sociale al fine di consentire alla società la propria attività di impresa.

Sono apporti di quasi capitale che svolgono la stessa funzione economica dei conferimenti, cioè mettere a disposizione dell’attività comune i mezzi economici necessari per il suo svolgimento; tuttavia nonostante le affinità esistenti con i conferimenti, i versamenti spontanei non sono collegati all’acquisto di una quota di partecipazione al capitale sociale.

I prestiti sono rapporti negoziali di credito tra soci e società;
A)     possono essere effettuati in un periodo di crisi della società (anomali)
B)    oppure in una normale fase della vita dell’impresa (non anomali).

La riforma del 2003 è intervenuta introducendo delle significative novità nella disciplina dei finanziamenti dei soci nelle s.r.l. (art. 2467 c.c.).
Entrambi i versamenti fanno parte dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 che formalmente si presentano come capitale di credito ma nella sostanza economica costituiscono parte del capitale proprio.
L’ordinamento giuridico italiano prevede delle regole minime sulla formazione e sulla conservazione del capitale sociale, lasciando poi all’autonomia privata dei soci la libertà nel finanziamento dell’impresa con la possibilità di decidere se e con quali mezzi finanziare la società; esiste quindi un principio di libertà relativo al se finanziare l’impresa perché i soci non sono obbligati a soddisfarne i bisogni finanziari e un altro relativo al come finanziare l’impresa potendo scegliere tra forme di capitale proprio, di credito o quasi capitale.

Finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c
Con la disciplina ex art. 2467 in riferimento alle s.r.l. il legislatore ha voluto ridurre la discrezionalità dei soci nel finanziare l’impresa, sulla base del principio di corretto funzionamento per impedire la sottocapitalizzazione nominale; nel caso previsto dal 2° comma dell’art. 2467 qualora la società si trovi in uno stato di crisi i soci: mantengono la libertà se finanziare o meno l’impresa; sono fortemente limitati sul come finanziare perché se scelgono di effettuare un prestito alla società invece di effettuare un conferimento, l’ordinamento per impedire che i soci scarichino il rischio d’impresa sui creditori prevede che “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, e se avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito” (art. 2467 c.1 c.c.).
Tale disciplina è dettata per le s.r.l. ma essendo un principio generale è possibile applicarlo anche a tipi di società diverse, come le s.p.a.; è evidente che non ogni prestito concesso da qualunque socio alla società in presenza dei presupposti ex art. 2467 c.2 sia soggetto alla regola della postergazione coattiva, infatti è necessario che l’azionista creditore sia in grado di influenzare la decisione sul finanziamento operando come socio imprenditore e non come mero investitore.
Con il principio di corretto funzionamento dell’impresa, i creditori sono collocati nella situazione in cui si sarebbero trovati qualora i soci avessero da subito imputato le somme a capitale, aumento le probabilità di un loro soddisfacimento; inoltre la subordinazione del finanziamento agli altri crediti, e la sua assimilazione a conferimento, oltre a comportare la neutralizzazione del rischio legato alla possibilità di subire il concorso dei soci, ha la funzione di ridurre i costi di monitoring che il creditore dovrebbe sostenere per fronteggiare i rischi.
La disciplina ex art. 2467 c.c. si riferisce solo ai prestiti anomali, cioè sostituivi del capitale, per affrontare le ipotesi di sottocapitalizzazione nominale; tuttavia le forme degli apporti spontanei e dei prestiti non anomali sono lecite e ammesse dal sistema.
La differenza principale tra i prestiti anomali e gli apporti spontanei è che nel primo caso la postergazione è l’effetto imperativo di una riqualificazione coattiva operata dal legislatore, nel secondo caso invece è frutto dell’autonomia privata dei soci.

Gli apporti spontanei
Gli apporti spontanei forniscono capitale di rischio senza alcun obbligo di pagamento di interessi né di restituzione da parte dei soci (a differenza dei prestiti).
La forma attraverso la quale gli apporti spontanei sono concessi alla società è quella del contratto con il quale le parti decidono il tipo di vincolo a cui i soci intendono assoggettare il finanziamento; le stesse parti decidono anche le condizioni alle quali è subordinata la restituzione dell’apporto, rendendolo così assimilabile al capitale proprio.
Il contratto è stipulato dall’organo amministrativo con i soci e non c’è bisogno della previa decisione dell’assemblea dei soci, salvo i casi in cui è richiesto il loro consenso.
Gli apporti spontanei vanno iscritti in un’apposita voce del patrimonio netto: altre riserve; all’interno di questa voce deve essere creata la sottovoce apporti spontanei indicando nella nota integrativa la sua origine, la possibilità di utilizzazione, la sua distribuibilità.

I prestiti anomali vanno iscritti nello stato patrimoniale al passivo ma nella categoria dei debiti verso i soci per finanziamenti; il carattere anomalo non va segnalato nella voce della nota integrativa perché in tale voce vanno inseriti solo i finanziamenti dotati di postergazione volontaria e non legale.
L’iscrizione a bilancio è il criterio principale con cui capire se si è in presenza di apporti spontanei o prestiti anomali quando la volontà delle parti è di difficile interpretazione.



Modalità di restituzione
Anche quando la società è in bonis, la restituzione degli apporti spontanei è soggetta a procedure proprie dello scioglimento e distribuzione delle riserve; è necessaria la delibera dell’assemblea ordinaria della s.p.a. o la decisione dei soci nella s.r.l. essendo la riserva apporti spontanei posta nel patrimonio.
Le somme percepite dalla società come apporti spontanei non possono essere distribuite fino a che la riserva legale non abbia raggiunto il limite stabilito.
Gli apporti spontanei sono anche intaccati prima dei prestiti anomali perché le perdite intaccano prima le parti del patrimonio netto non vincolate, a protezione dei creditori, ossia le riserve.
L’ordine di rimborso o restituzione degli apporti spontanei prevede, anche in sede di liquidazione o procedura concorsuale, la subordinazione all’integrale soddisfacimento di tutti i creditori, compresi quelli postergati.
La dottrina si occupa delle tecniche con le quali la società acquisisce i mezzi finanziari e gli strumenti produttivi per lo svolgimento della sua attività.
Il problema è dato proprio dal modo in cui avviene l’entrata delle risorse nella società che condiziona i poteri, l’organizzazione e la remunerazione per chi ha fatto l’apporto o il finanziamento; infatti bisogna distinguere chi mette capitale di rischio, il socio, e chi mette capitale di credito, il creditore.
Necessariamente una categoria di essi può essere remunerata soltanto dopo che gli altri hanno conseguito la propria; ciò significa che almeno uno deve essere remunerato in proporzione al risultato e deve correre il rischio d’impresa.
In definitiva non tutti coloro che contribuiscono all’attività d’impresa possono essere fixed claimants; è necessario che alcuni assumano la posizione di residual claimants, con il potere di appropriarsi di quanto residua dopo la soddisdazione dei primi.
Quindi è evidente come in caso di risultati imprenditoriali negativi, essi pregiudichino prima la posizione dei soci (residual claimants) e solo successivamente quella dei creditori (fixed claimants).
Il patrimonio netto comprende il capitale sociale, la riserva legale, le riserve statutarie, la riserva da sovrapprezzo, le riserve facoltative e l’utile dell’esercizio; quando c’è una perdita, essa intacca il capitale sociale (capitale sociale 0 = perdita di tutto per i residual).
La ridistribuzione è decisa dall’assemblea dei soci e ha ad oggetto tutto tranne quello su cui c’è un vincolo come capitale sociale, riserva legale, riserve statutarie che necessitano di una modificazione dello statuto per essere distribuiti; invece sono liberamente distribuibili le riserve da sovrapprezzo, le riserve facoltative e gli utili.
E’ necessario ora definire l’area del conferibile, cioè se i possibili apporti dei soci qualificati come conferimenti, siano ulteriormente delimitati rispetto alla loro strumentalità; la questione investe le specifiche esigenze delle società di capitali e delle società di persone, con particolare riferimento alla funzione del conferimento.

Gli apporti dei soci nelle s.p.a. e nelle s.r.l.
La nuova disposizione in tema di conferimenti nelle s.r.l., l’art. 2464 c.c., stabilisce da un lato che possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica, dall’altro consente che il conferimento avvenga mediante una polizza assicurativa o una fideiussione bancaria con cui vengono garantiti, per l’intero valore ad esso assegnato, gli obblighi assunti dal socio riguardanti la prestazione d’opera o di servizi a favore della società.
Mentre nelle s.p.a. c’è la possibilità che la società, a seguito dell’apporto da parte di soci o di terzi anche di opera o di servizi, emetta strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti.
Da ciò si evince un diverso trattamento del conferimento d’opera o di servizi: nella s.p.a. resiste il rigido divieto per il quale l’apporto di tali utilità non può contribuire alla formazione del capitale sociale ma può soltanto dar luogo all’emissione di strumenti finanziari diversi dalle azioni ai quali possono essere attribuiti alcuni diritti patrimoniali o amministrativi tipici del socio; nella s.r.l., invece, il conferimento può avere ad oggetto la prestazione d’opera o di servizi a condizione che sia prestata una polizza assicurativa o una garanzia bancaria tale da garantire l’esecuzione del relativo obbligo.
Quindi nella s.p.a. è essenziale che il conferimento si realizzi in modo da acquisire un proprio valore autonomo in grado di emanciparsi dalle vicende personali del socio; deve configurarsi come un investimento che conserva il proprio significato indipendentemente dalla sua situazione personale.

Nelle s.r.l. non si richiede ciò e il valore del conferimento può ancora consistere in un’attività del socio.

Finanziamenti e rischio d’impresa
A questo punto ci si pone il problema di evitare che con finanziamenti formalmente diversi dai conferimenti, il socio possa così sottrarsi al suo tipico rischio e quindi collocarsi sullo stesso piano dei creditori.
Tale questione spesso comporta una sottocapitalizzazione nominale della società; i soci contribuiscono a quanto economicamente necessario per lo svolgimento della sia attività, ma solo in parte a titolo di formale conferimento e il rimanente sulla base di rapporti omogenei con quelli nei confronti dei terzi.
Nella s.p.a. dove la partecipazione consiste in un mero investimento, non può essere ritenuto sospetto l’utilizzo parallelo di altre e distinte forme di investimento; nella s.r.l., invece, dove ci può essere un interesse immediato nei confronti dell’attività imprenditoriale, è comprensibile che ci si interroghi sui rapporti tra la posizione del socio e un’operazione di finanziamento a favore della società.
Come già visto in precedenza l’art. 2467 c.c. individua l’ipotesi in cui non è consentito al socio ridurre il proprio rischio tipico di residual claimants in situazioni di crisi della società; per questo opera una postergazione coattiva dei finanziamenti effettuati dai soci (prestiti anomali) che penalizza la scelta di voler proseguire l’attività imprenditoriale trasferendone il rischio sui terzi creditori.
Anche la giurisprudenza recente si è pronunciata su quest’ultimo aspetto evidenziando l’importanza di tutelare dal rischio i terzi creditori; il Tribunale di Milano con sentenza n. 3621 del 14 marzo 2014 ha statuito le seguenti massime (DeJure):
“La condizione di inesigibilità del credito ex art.2467 c.c. può essere eccepita dagli amministratori nei confronti del socio finanziatore solo laddove il finanziamento sia stato disposto e il rimborso richiesto in presenza di una situazione di specifica crisi della società, di per sé comportante proprio la conseguenza - in termini di posizione dei soci finanziatori - che la disciplina normativa pare mirata ad evitare, vale a dire la conseguenza che i soci - non conferendo capitale ma assumendo la veste di creditori vengano a traslare il rischio di impresa sugli altri creditori, così proseguendo l’attività sociale in danno di questi ultimi, che, “normalmente” in una tale situazione non sarebbero disponibili ad erogare finanziamenti”.
“Il presupposto della postergazione ex art.2467 c.c. è, come si legge nella motivazione, il ricorrere di “una fase in cui la società, in relazione all’attività in concreto esercitata, abbia la necessità delle risorse messe a disposizione dai soci (finanziatori) e non sia in grado di rimborsali”, onde con l’art.2467 c.c. “è stato introdotto, per le imprese che siano entrate o stiano per entrare in una situazione di crisi, un principio di corretto finanziamento la cui violazione comporta una riqualificazione imperativa del „prestito‟ in „prestito postergato‟ (rispetto alla soddisfazione degli altri creditori)”.
“In presenza dei presupposti di postergazione di cui al comma 2 dell’art.2467c.c., sia al momento di esecuzione del finanziamento sia al momento della richiesta di rimborso da parte del socio finanziatore, gli amministratori sono tenuti ad eccepire la condizione di inesigibilità del credito derivante dalla postergazione al socio richiedente il rimborso del finanziamento laddove al momento del richiesto rimborso sussistano creditori “ordinari” (vale a dire creditori non soci, soggetti allo stesso vincolo) titolari di crediti scaduti e non soddisfatti o comunque non ancora scaduti”.

Dario La Marchesina

Fonte: Gli apporti dei soci nelle società di capitali


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martedì 21 ottobre 2014

STATO DI DIFFICOLTA' ECONOMICA DEL`IMPRESA: SCIOGLIMENTO PER IMPOSSIBILITA' DI CONSEGUIRE L`OGGETTO SOCIALE. IL NO DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO


a cura di: TuttoCamere.it

E` escluso che le difficolta' economiche, per quanto gravi, possano essere ritenute di per se' sufficienti ad integrare la causa di scioglimento di cui all`art. 2484, 1° comma, n. 2, Codice Civile.

E` questa la posizione sostenuta dal Consiglio Nazionale del Notariato nello studio n. 237-2014/I, approvato dall`Area Scientifica - Studi d`Impresa il 9 luglio 2014 e dal CNN il 9 settembre 2014, nel quale il Notariato si interroga sulla possibilita' di qualificare come causa legittima di scioglimento il riscontro da parte degli amministratori dello stato di difficolta' economica dell`impresa.
Lo studio esamina, in particolare, l`eventuale legittimita' di una dichiarazione iscritta nel Registro delle Imprese, ai sensi dell`art. 2484, 3° comma, Codice Civile, da parte degli amministratori che ritengono verificata la causa di scioglimento di cui all`art. 2484, 1° comma, n. 2. C.C., in presenza di situazioni di difficolta' economica.

Dopo aver esaminato attentamente la nozione di oggetto sociale e la sua concettuale diversita' dallo scopo di lucro nonche' i rapporti tra la causa di scioglimento in esame e la diversa ipotesi del fallimento, causa autonoma di scioglimento ora solo nell`ambito delle societa' personali, il Notariato ha escluso che le difficolta' economiche, per quanto gravi, possano essere ritenute di per se' sufficienti ad integrare la causa di scioglimento di cui all`art. 2484, 1° comma, n. 2, C.C. e si sono passate in rassegna le conseguenze, sotto il profilo organizzativo e quello della responsabilita' dei soggetti coinvolti, derivanti da uno scioglimento che trae il suo impulso procedimentale da una causa illegittima ed erroneamente pubblicizzata, individuando i rimedi dell`ordinamento a tale situazione.

Secondo il Notariato "la sopravvenuta antieconomicita' dell`impresa e' concetto estraneo al contenuto sostanziale della causa di scioglimento di cui all`art. 2484, comma 1, n. 2 C.C." e "l`impossibilita' di conseguimento dell`oggetto sociale coincide ... con l`impossibilita' giuridica o materiale a svolgere l`attivita' in cui lo stesso consiste". Detta impossibilita' deve comunque "essere oggettiva, assoluta, irreversibile e definitiva e non gia' un semplice impedimento temporaneo".

L`iscrizione nel Registro delle Imprese di una dichiarazione di accertamento della causa di scioglimento di cui al n. 2 del comma 1 dell`art. 2484 C.C. in assenza dei presupposti di legittimita', comporta una responsabilita' degli amministratori.

Nello studio vengono anche chiariti quali siano i poteri del Conservatore del Registro delle imprese nel caso di deposito di una eventuale dichiarazione di accertamento da parte dell`Organo Amministrativo della causa di scioglimento ex art. 2484 comma 1, n. 2, che appare, per quanto sin qui esposto, oggettivamente illegittima.
In tal caso l`illegittimita' deve essere rilevata d`ufficio dal Conservatore del Registro delle Imprese, rientrando nei suoi poteri ex art. 2189 C.C. quello di un controllo di legalita' formale.


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sabato 18 ottobre 2014

Attività sportive degli under 18. Un promemoria per lo sconto Irpef


Da www.fiscooggi.it


La spesa, detraibile al 19%, può essere documentata con fattura o ricevuta fiscale, ma sono validi anche il bollettino bancario o postale o la quietanza di pagamento
vignetta
Finite le vacanze, ricominciano anche le attività sportive. In queste settimane, molti genitori avranno iscritto i loro figli in palestra, in piscina, a un corso di danza o alla scuola calcio.
Per incentivare la pratica sportiva dei più giovani, con la Finanziaria 2007 (articolo 1, comma 319, legge 296/2006) è stata introdotta una specifica detrazione Irpef, un beneficio particolarmente apprezzato dai contribuenti italiani: sono oltre 1,6 milioni i cittadini che nel 2013 hanno indicato questi oneri nella dichiarazione dei redditi, per un ammontare di spesa complessivamente pari a 350 milioni di euro.
La detrazione è pari al 19% delle spese sostenute (per un importo non superiore a 210 euro) per l’iscrizione annuale e l’abbonamento dei ragazzi di età compresa tra 5 e 18 anni ad associazioni sportive, palestre, piscine e altre strutture e impianti sportivi destinati alla pratica sportiva dilettantistica.

Il documento di spesa
La spesa può essere certificata non solo con fattura o ricevuta fiscale, ma anche con bollettino bancario o postale o con quietanza di pagamento.
Il documento di spesa, in ogni caso, deve contenere le informazioni richieste dal provvedimento attuativo (decreto interministeriale 28 marzo 2007):
gli estremi del soggetto erogante (oltre al codice fiscale, ditta, denominazione o ragione sociale, e sede legale, ovvero, se persona fisica, nome, cognome e residenza)
la causale del pagamento
l’attività sportiva esercitata
l’importo pagato per la prestazione
i dati anagrafici del praticante l’attività sportiva
il codice fiscale di chi effettua il pagamento.
Dove praticare le attività sportive
Il decreto attuativo, secondo lo spirito incentivante della norma, individua in maniera ampia le strutture presso le quali è possibile praticare lo sport “agevolato”. Quindi, spazio a società e associazioni sportive dilettantistiche, ma sono ammessi anche i soggetti giuridici privati, quali imprenditori singoli, società di persone, società di capitali; in generale, tutti gli impianti, comunque organizzati, destinati all’esercizio della pratica sportiva non professionale, agonistica e non agonistica, compresi gli impianti polisportivi.
Il requisito anagrafico e il limite di spesa
Il requisito dell’età del ragazzo (da 5 a 18 anni) ricorre purché sussista anche per una sola parte del periodo d’imposta: ad esempio, con la prossima dichiarazione dei redditi, quella che presenteremo nella primavera del 2015, sarà possibile detrarre tutte le spese sostenute per i ragazzi che hanno compiuto i 18 anni nel corso del 2014.
L’importo massimo di spesa di 210 euro va inteso per ciascun ragazzo e non per ciascun genitore. I genitori che partecipano entrambi alle spese, pertanto, dovranno ripartire tra di loro l’ammontare su cui calcolare la detrazione: ad esempio, se la spesa è sostenuta in parti uguali, ciascuno dei genitori può considerare un limite massimo di spesa di 105 euro per figlio.

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venerdì 3 ottobre 2014

Affetti e affari ancora in Italia: la residenza fiscale non espatria


Il coniuge non è emigrato, il contribuente non ha affittato né comprato casa all’estero, non c’è prova di svolgimento di un’attività lavorativa stabile: “visto” negato

La Commissione tributaria regionale di Milano, con la sentenza 4515 del 10 settembre 2014, ha respinto l’appello del contribuente in ordine alla supposta residenza all’estero, evidenziando che l’iscrizione all’Aire è certamente condizione necessaria per far valere il trasferimento della residenza all’estero, ma non sufficiente, in quanto deve essere soddisfatto anche un requisito sostanziale, rappresentato dall’effettivo trasferimento della sede principale degli affari e interessi e della dimora abituale nello Stato estero.
L’iter processuale
La vicenda esaminata dalla Ctr nasce da un avviso, con il quale l’ufficio accertava, in base all’articolo 41-bis del Dpr 600/1973, redditi non dichiarati per un contribuente che, seppure iscritto formalmente all’Aire, in quanto residente in uno Stato estero, risultava aver percepito redditi in Italia. Il contribuente contestava l’addebito, sostenendo di essere iscritto all’Aire in quanto residente all’estero e di non essere obbligato a presentare dichiarazione in Italia. La Ctr ha confermato la decisione della Commissione provinciale, respingendo le difese del contribuente e condannando lo stesso al pagamento delle spese di lite.
Il punto di maggiore rilievo della decisione in esame risiede non tanto nell’aver sottolineato la necessità di provare un effettivo trasferimento degli interessi, quanto nell’aver adottato una particolare attenzione agli elementi forniti dalle parti.
In particolare, la Ctr, con articolata motivazione, ha statuito che, nel caso concreto, il contribuente non ha fornito la prova della mancanza del presupposto territoriale per l’applicazione dell’imposizione ordinaria italiana. I giudici hanno analizzato tutti gli elementi probatori forniti dall’ufficio in contrapposizione con le carenti difese di parte. In sostanza, la Commissione osserva “che gli elementi di fatto indicati nell’avviso di accertamento, unitariamente considerati depongono nel senso che il ricorrente ha mantenuto in Italia il centro dei suoi interessi, nonché un legame effettivo e non provvisorio, non smentito da quanto dal medesimo addotto in ricorso al fine di confutare la tesi dell’Ufficio”.
Infatti, dagli elementi raccolti dall’ufficio, è emerso che il coniuge non era iscritto all’Aire o trasferito all’estero, non risultava dunque fornita la prova di una dimora abituale sia personale sia familiare nello Stato estero. Inoltre, non risultavano essere stati prodotti dal contribuente-ricorrente contratti di locazione o di vendita di immobili presso lo Stato estero o svolgimento di rapporti lavorativi o dell’esercizio di qualunque attività economica con carattere di stabilità, con conseguente percezione di un reddito adeguato ai bisogni e al sostenimento della famiglia.
Secondo la commissione, non sono sufficienti ad attestare l’effettiva permanenza nel paese estero i visti presenti sul passaporto e il permesso di lavoro concesso nello Stato estero. Per contro, il contribuente risultava aver conseguito benefici economici dall’attività svolta in Italia che, anche in mancanza di iscrizione anagrafica, collegano il soggetto al territorio italiano.
Quadro normativo e giurisprudenziale
I criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche in Italia sono dettati dall’articolo 2 del Dpr 917/1986, il quale stabilisce che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, hanno la residenza o il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile.
Le condizioni appena indicate sono tra loro alternative; ciò vuol dire che la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato ai fini fiscali residente in Italia. Se il cittadino italiano ha spostato la propria dimora all’estero, occorre che egli provveda alla cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e che, contestualmente, si iscriva all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire).
A tal riguardo, il legislatore ha introdotto il comma 2-bis all’interno dell’articolo 2 del Tuir che così dispone: “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze …”.
Pertanto, l’iscrizione all’Aire attesta la non residenza in Italia ma, a differenza dell’iscrizione nell’anagrafe dei residenti nello Stato, che rappresenta una presunzione legale contro cui non è ammessa prova contraria, l’iscrizione all’Aire, è invece sempre suscettibile di prova contraria.
Nello stesso senso si esprime anche la circolare ministeriale n. 304/1997, che afferma: “si evidenzia che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente e l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero non costituisce elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, ben potendo questi ultimi essere desunti con ogni mezzo di prova, anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici”. La richiamata circolare fornisce elementi significativi ai fini dell’individuazione della residenza fiscale, evidenziando la necessità che dalle indagini scaturisca una “valutazione d’insieme” dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro Paese; valutazione che, indipendentemente dalla presenza fisica e dalla sola attività lavorativa, esplicata prevalentemente all’estero, consenta di stabilire che la sede principale degli affari e interessi, anche internazionali, deve situarsi nel territorio dello Stato italiano, direttamente o attraverso soggetti operanti nel territorio italiano.
Inoltre, l’Amministrazione, con la risoluzione n. 351/2008, ha chiarito che, per ritenere residente un soggetto in Italia, la circostanza che il contribuente mantenga in Italia i propri legami familiari o il “centro” dei propri interessi patrimoniali e sociali è di per sé sufficiente a realizzare un collegamento effettivo e stabile con il territorio italiano.
Occorre, pertanto, una valutazione d’insieme dei molteplici rapporti che il soggetto intrattiene nel nostro paese per capire se, nel periodo in cui è stato anagraficamente residente all’estero, abbia effettivamente perso ogni significativo collegamento con lo Stato italiano e possa quindi essere considerato fiscalmente non residente.
Interpretazione, questa, confermata anche dalla pacifica giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale la semplice cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente, per trasferire la residenza all’estero, può non essere sufficiente a far perdere lo status di residente sotto il profilo fiscale, qualora il soggetto mantenga nel territorio nazionale i propri interessi (famiglia, proprietà, eccetera).
In materia tributaria, ai fini dell'individuazione dei soggetti passivi dell'imposizione, l'iscrizione del cittadino nell'anagrafe dei residenti all'estero non costituisce un elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia, quando lo stesso abbia, nel territorio dello Stato, il proprio domicilio, ovvero la sede principale degli affari e degli interessi economici, oltre che le proprie relazioni personali.
In linea con l'anzidetta interpretazione è anche la Corte di giustizia Ue, secondo la quale, per la determinazione del luogo della residenza normale, devono prendersi in considerazione i legami professionali e personali dell'interessato in un determinato luogo e la loro durata. Nel caso in cui detti legami si sviluppino in diversi paesi, in applicazione dell'articolo 7, n. 1, comma 2, della direttiva n. 83/182/Ce, deve riconoscersi preminenza ai legami personali su quelli professionali, rientrando tra i primi la presenza della persona fisica sul territorio, quella dei suoi familiari, la disponibilità di un'abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano i suoi interessi patrimoniali (Cassazione, pronuncia 20285/2013).
Nell'ambito della valutazione dei legami personali e professionali dell'interessato, tutti gli elementi di fatto rilevanti devono essere presi in considerazione, vale a dire, in particolare, la presenza fisica di quest'ultimo nonché quella dei suoi familiari, la disponibilità di un'abitazione, il luogo di esercizio delle attività professionali e quello in cui vi siano interessi patrimoniali (cfr Corte di giustizia Ue, sentenze 12 luglio 2001 in causa C- 262/99, 7 giugno 2007 in causa C-156/04, e, in senso conforme, Cassazione 12259/2010).
Inoltre, la Cassazione, con la sentenza 29576/2012, si era già espressa statuendo che, in tema di imposte sui redditi, in base al combinato disposto dell’articolo 2 del Tuir e dell'articolo 43 cc, deve considerarsi soggetto passivo il cittadino italiano che, pur risiedendo all'estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d'imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari e interessi economici nonché delle relazioni personali, e ciò anche in base a vari elementi presuntivi, quali: l'acquisto di beni immobili; la gestione di affari in contesti societari; la disponibilità di almeno un'abitazione, nella quale egli trascorra diversi periodi dell'anno, e ciò a prescindere anche dalla iscrizione del soggetto nell'Aire, come nel nostro caso (cfr Cassazione, sentenze, 12259/2010, 25275/2006 - a Sezioni unite - e 29576/2011).
Filomena Scarano

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mercoledì 1 ottobre 2014

Portale unico “mini one stop shop”: semaforo verde per la registrazione



da www.fiscooggi.ii

L’intero processo per l’invio delle informazioni, esclusivamente in modalità elettronica e diretta, è in un’apposita sezione del sito delle Entrate, redatta anche in lingua inglese

Ai nastri di partenza le adesioni facoltative ai regimi speciali Moss (mini one stop shop) ai fini dell’Iva. Dall’1 ottobre, i soggetti passivi che forniscono servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione o elettronici a committenti non soggetti passivi d’imposta, domiciliati o residenti nella Ue, possono presentare la richiesta di registrazione. Le modalità operative nel provvedimento 30 settembre 2014 dell’Agenzia delle Entrate.
Perché
Dall’1 gennaio 2015, le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici, rese a committenti non soggetti passivi di imposta, sono soggette a Iva nel luogo ove il committente è stabilito ovvero ha il domicilio o la residenza (vedi “Pochi mesi all’arrivo del Moss, nuovo portale telematico per l’Iva”).
È quanto stabilisce la direttiva Iva (2006/112/Ce), modificata dalla direttiva 2008/8/Ce, che – per l’assolvimento degli obblighi Iva relativi a quelle prestazioni – prevede l’adesione facoltativa a due regimi speciali da parte dei soggetti passivi, stabiliti e non stabiliti nell’Unione europea (“regime Ue” e “regime non Ue”).
Il regolamento Ue 967/2012, per facilitare l’attuazione del nuovo regime, fissa norme di dettaglio applicabili a partire dall’1 gennaio 2015; allo stesso tempo, prevede che “gli Stati membri autorizzano (…) i soggetti passivi non stabiliti a presentare a decorrere dal 1° ottobre 2014 le informazioni (…) ai fini della registrazione nell’ambito dei regimi speciali applicabili a soggetti passivi non stabiliti che forniscono servizi di telecomunicazione, servizi di teleradiodiffusione o servizi elettronici a persone non soggetti passavi”.
L’odierno provvedimento delle Entrate, pertanto, consente l’invio delle informazioni necessarie per la registrazione ai regimi Moss, da parte degli operatori interessati, a partire dall’1 ottobre 2014.
In che modo
Per aderire facoltativamente ai regimi speciali Moss, le aziende che erogano servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione o elettronici a committenti non soggetti passivi d’imposta, domiciliati o residenti nell’Unione europea, devono registrarsi, in via diretta ed elettronica, attraverso le funzionalità rese disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate. In particolare:
i soggetti passivi domiciliati o residenti nel territorio dello Stato, che non hanno stabilito il domicilio all’estero, identificati in Italia, nonché i soggetti passivi domiciliati o residenti fuori dall’Unione europea che dispongono di una stabile organizzazione in Italia, forniscono online le informazioni richieste accedendo ai servizi telematici dell’Agenzia
i soggetti passivi domiciliati o residenti fuori dalla Ue, non stabiliti né identificati in alcuno Stato membro dell’Unione, che scelgono di identificarsi in Italia, compilano un modulo online disponibile sul sito delle Entrate, nella sezione a libero accesso redatta in lingua inglese.
Dopo le necessarie verifiche, il Centro operativo di Venezia comunica al richiedente, via mail, il numero di identificazione Iva attribuito, il codice identificativo per accedere ai servizi telematici dell’Agenzia, la password di primo accesso, le prime quattro cifre del pin e le istruzioni per completare il processo di registrazione.
Sonia Angeli


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sabato 20 settembre 2014

Compensazioni sempre on line: parte la regola, pronti i chiarimenti


http://www.nuovofiscooggi.it/


Le modalità di presentazione via web della delega di pagamento unificato. 

La versione cartacea sopravvivrà per i versamenti di importi esigui e in qualche ipotesi residua


La stretta sulle compensazioni, i maggiori controlli sui versamenti “sostanziosi” e la riduzione dei costi della riscossione passano per il web: la soluzione più semplice e sicura. Dal prossimo 1 ottobre, infatti, molti dei pagamenti da effettuare con F24 troveranno agibile esclusivamente la via telematica. Questo è stabilito dall’articolo 11, comma 2, del Dl 66/2014, con riferimento ai casi in cui il saldo finale riportato nel modello, dopo lo scambio tra debiti e crediti, è pari a zero o positivo, oppure quando, indipendentemente da eventuali compensazioni, l’importo da pagare supera i mille euro.
In particolare, se il modello F24, dopo aver effettuato la compensazione, è a saldo zero, potrà essere presentato unicamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. Nelle altre due ipotesi, invece, pur rimanendo costante la via telematica, sarà possibile rivolgersi anche agli intermediari della riscossione convenzionati con le Entrate, cioè banche, Poste italiane o agenti della riscossione.

Detto ciò, con la circolare n. 27/E del 19 settembre, l’Agenzia spiega nel dettaglio le modalità di presentazione cominciando dalle deleghe di pagamento a saldo zero, che potranno essere trasmesse:
direttamente dal contribuente, attraverso Fisconline o Entratel, servendosi di “F24 web” – il servizio che consente di compilare e inviare il modello dal sito delle Entrate, senza scaricare alcun software sul proprio pc – o “F24 online”, utilizzabile solo scaricando il software gratuito dal sito dell’Amministrazione finanziaria oppure tramite appositi programmi disponibili sul mercato
attraverso intermediari abilitati alla trasmissione telematica del modello in nome e per conto degli assistiti, anche con addebito degli importi sul proprio conto corrente. In tal caso, i servizi a disposizione sono “F24 cumulativo” e “F24 addebito unico”, gli intermediari quelli individuati dall’articolo 3, comma 3, del Dpr 322/1998 (professionisti, Caf, associazioni sindacali di categoria, eccetera).

Per le deleghe di pagamento con crediti compensati e con risultato maggiore di zero, oppure con saldo finale superiore a mille euro, a prescindere dalle eventuali compensazioni, oltre a quelle appena descritte, c’è un’ulteriore modalità, cioè utilizzare i servizi di internet banking messi a disposizione da banche, Poste italiane e agenti della riscossione.

Quando non si può avere un conto corrente
La circolare si preoccupa di indicare la strada anche a chi oggettivamente non può detenere un conto corrente (ad esempio, chi è protestato).
In tale ipotesi, se la somma da pagare supera i mille euro (senza utilizzo di crediti in compensazione), il contribuente potrà affidarsi o a un intermediario abilitato a Entratel, disponibile all’addebito sul proprio conto, o a un intermediario della riscossione che consente di pagare, ad esempio, con una carta prepagata. In ultima istanza, se questi canali non sono disponibili, si può utilizzare l’F24 cartaceo.
Queste stesse modalità si applicano anche ai modelli di versamento contenenti compensazioni e saldo finale maggiore di zero. In questa circostanza, residualmente, è anche possibile presentare, tramite i servizi telematici dell’Agenzia, un F24 a zero, compensando con i crediti disponibili una parte delle somme dovute e versando il debito restante anche con un F24 cartaceo.

Le ultime vie della carta
In sostanza, l’unica situazione in cui è ancora possibile presentare l’F24 cartaceo dovrebbe essere quella in cui, senza compensazione, si deve pagare un importo pari o inferiore a mille euro.
Ma non è così. Dalla circolare arriva l’ok al cartaceo anche:
in caso di F24 precompilato dall’ente impositore, di qualsiasi importo, purché non siano indicati crediti in compensazione
per chi sta versando a rate tributi e/o contributi (ma solo fino al 31 dicembre prossimo), di qualsiasi importo e anche in caso di utilizzo di crediti in compensazione (pure con saldo pari a zero)
per i beneficiari di agevolazioni fiscali riconosciute sotto forma di crediti d’imposta, utilizzabili in compensazione esclusivamente presso gli agenti della riscossione.

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mercoledì 27 agosto 2014

Pubblicato il nuovo bando per l'accesso al "microcredito" - domande dal 15 settembre



E’ stato pubblicato il nuovo bando per l'accesso al "microcredito"  attraverso il quale l'Assessorato regionale del Lavoro intende finanziare con il microcredito coloro che vogliono avviare una nuova iniziativa imprenditoriale in Sardegna o realizzare un nuovo investimento nell'ambito di iniziative esistenti e si trovano in condizioni di difficoltà di accesso ai canali tradizionali del credito con la pubblicazione del nuovo Bando Microcredito 2014-
Il Fondo microcredito FSE prevede la concessione di un mutuo fino a 25mila euro a tasso zero, rimborsabile in 60 mesi.
L'intervento, gestito dalla Sfirs SpA, non comporta la richiesta di garanzie, fatta eccezione per le società a responsabilità limitata e le cooperative a responsabilità limitata.  Possono richiedere l’agevolazione:
I BENEFICIARI CHE POTRANNO RICHIEDERE L’AGEVOLAZIONE SONO:
- soggetti a rischio di esclusione sociale (lavoratori con età superiore ai 50 anni, giovani disoccupati o inoccupati, cassa integrati);
- soggetti che non usufruiscono di sovvenzioni pubbliche o indennità di disoccupazione e/o mobilità e si trovano in condizioni di disoccupazione o inoccupazione;
- donne;
- soggetti svantaggiati (es. soggetti diversamente abili, migranti, ex detenuti, ex tossicodipendenti…);
- famiglie monoparentali;
- coloro che non possiedono un diploma di scuola media superiore o professionale;
- nuovi imprenditori (inclusi i titolari di impresa da non più di 36 mesi).
- Per le società, i requisiti soggettivi devono essere posseduti da uno o più soci che nel complesso detengono il 51% delle quote sociali e uno o più di questi stessi soci devono essere amministratori della Società.
POSSONO INOLTRE PRESENTARE LA DOMANDA:
- microimprese costituende o già costituite - con forma giuridica di ditta individuale, società di persone, società a responsabilità limitata;
- cooperative (di tipo A e B) in fase di costituzione o già costituite;
- piccole imprese da costituire;
- organismi no profit e operatori del privato sociale con posizioni nuove o non consolidate sul mercato che operano nei settore dei servizi sociali alla persona.

SONO CONSIDERATE PROPOSTE PRIORITARIE LE SEGUENTI ATTIVITA’:
·       turismo,
·       servizi sociali alla persona,
·       tutela dell'ambiente,
·       ICT,
·       risparmio energetico ed energie rinnovabili,
·       servizi culturali e ricreativi,
·       servizi alle imprese,
·       manifatturiero,
·       commercio di prossimità,
·       artigianato.
COME PRESENTARE LE DOMANDE
Le domande di accesso al Fondo potranno essere presentate telematicamente dal prossimo 15 settembre e la stampa della domanda dovrà essere inviata entro i 7 giorni successivi all'invio telematico,


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