venerdì 27 giugno 2014

La sola residenza in "comunione" non può sconfessare il redditometro


da www.fiscooggi.it

Spese per incrementi patrimoniali, due autoveicoli e un bene immobile destinato ad abitazione principale: questi gli elementi alla base dell'accertamento sintetico

Per il contribuente chiamato a vincere la presunzione di maggior reddito, non è sufficiente allegare la residenza anagrafica nello stesso fabbricato del padre, essendo necessario provare non solo l'effettiva convivenza ma, altresì, la disponibilità del genitore a coprire tutti i costi.
È quanto emerge dalla sentenza n. 13819 del 18 giugno 2014 della Corte di cassazione.
La vicenda processuale
Il contenzioso in esame nasce dall'impugnazione di avvisi di accertamento sintetici emessi per le annualità 1997 (in rettifica della dichiarazione presentata) e 1998 (priva di dichiarazione), data la disponibilità del contribuente di due autoveicoli e di un bene immobile destinato ad abitazione principale, oltre a spese per incrementi patrimoniali.
La Ctp accoglieva il ricorso, giudicando congruo il reddito dichiarato per il 1997 e insussistente il presupposto impositivo per l'annualità successiva, in considerazione del fatto che il ricorrente abitava con il padre in un immobile di proprietà di quest'ultimo e in assenza della prova che le spese di gestione ricadessero sul figlio.
Di diverso avviso la Ctr che, nell'accogliere parzialmente l'appello dell'ufficio, statuiva che la prova anagrafica della residenza del contribuente nel medesimo edificio del padre non esimeva lo stesso dall'onere di provare la convivenza tra i due e, inoltre, la disponibilità da parte del genitore di mezzi sufficienti a coprire tutti i costi di gestione della casa, che correttamente andavano attribuiti al ricorrente come indici di capacità contributiva.
Considerate tali premesse, la Ctr, per l'anno 1997, in riforma dell'impugnata sentenza, rideterminava il reddito accertato sinteticamente, rimettendo al competente ufficio la conseguente riliquidazione del debito tributario e le relative sanzioni, rigettando nel resto.
L'Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione, denunciando il vizio di motivazione (insufficiente e contraddittoria) nel quale era incorsa la Commissione tributaria regionale, omettendo di spiegare le ragioni e le modalità della rettifica del reddito sintetico accertato. Tale lacuna si rifletteva soprattutto nel dispositivo, ovvero nella formula di "rigetto per il resto", suscettibile di interpretazioni alternative, potendo far riferimento sia al ricorso introduttivo sia alla sentenza impugnata. Analogamente, di difficile interpretazione la ratio dell'annullamento dell'avviso di accertamento riguardante l'annualità 1998.
La pronuncia della Cassazione
La Corte suprema, con la pronuncia in esame, ha accolto il ricorso presentato dall'Amministrazione finanziaria, cassando con rinvio la sentenza impugnata.
I giudici di legittimità hanno, infatti, statuito che "nonostante l'accoglimento dell'appello, e la chiara enunciazione della corretta attribuzione al contribuente dei costi presunti della gestione della sua residenza, non appare comprensibile quale sia l'iter, e dunque sulla base di quale quadro probatorio assunto come decisivo, la CTR sia giunta alla rideterminazione quantitativa del reddito nella minor somma di Lit 24 milioni circa per il 1997". "Rilevando, altresì, un grave deficit di esposizione sulla parte di impugnazione che aveva fatto riferimento critico alla statuizione del primo giudice quanto al 1998".
La Cassazione, pertanto, da un lato conferma l'assunto di partenza affermato dalla Ctr sulla non sufficienza della prova anagrafica della residenza nello stesso fabbricato del padre, dall'altro censura il giudizio conclusivo al quale i giudici di secondo grado sono approdati, in difetto dell'esplicitazione dei criteri e delle modalità di rideterminazione del reddito sintetico.
Osservazioni
Ai sensi dell'articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973, nella formulazione vigente pro tempore, l'ufficio, rilevata la disponibilità di indici di capacità contributiva, è legittimato a presumere la sussistenza di redditi non dichiarati in capo al contribuente. Spetterà a quest'ultimo fornire la prova contraria ovvero dimostrare o che il reddito accertato è costituito da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta ovvero che "il reddito presunto sulla base del redditometro non esiste o esiste in misura inferiore" (Cassazione n. 9539/2013).
La giurisprudenza di legittimità, in realtà, aveva già ammesso la possibilità per il contribuente di dimostrare che il reddito determinato in via sintetica potesse trovare giustificazione negli apporti di componenti il nucleo familiare. Emblematica la sentenza n. 17203/2006, nella quale si evinceva che "la norma non contiene nessuna indicazione in ordine alla titolarità soggettiva dei "redditi esenti" e/o di quelli "soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta" considerati idonei dal legislatore ad integrare il reddito dichiarato al fine di escludere e/o limitare l'ammontare del reddito sinteticamente accertato dall'Ufficio in base agli appositi indici".
La stessa prassi dell'Amministrazione finanziaria, in più occasioni (circolare n. 49/2007 e circolari ministeriali nn. 101/1999 e 7/1977), aveva richiamato l'attenzione degli uffici sulla "necessità di procedere sempre ad un esame complessivo della posizione reddituale dell'intero nucleo familiare del contribuente, essendo evidente come frequentemente gli elementi indicatori di capacità contributiva rilevanti ai fini dell'accertamento sintetico possono trovare spiegazione nei redditi posseduti da altri componenti il nucleo familiare. Il richiamo a tale nucleo … trova evidente fondamento nel legame che lega le persone indicate che lo compongono e non già soltanto nella loro convivenza" (cfr Cassazione, sentenze nn. 17203/2006 e 5365/2014).
In tale prospettiva, premesso che grava sul contribuente l'onere di dimostrare l'entità, in termini quantitativi e qualitativi, degli apporti reddituali provenienti dai familiari, la sentenza in esame ha dato indicazioni sulla consistenza di detta prova.
In particolare, nel confermare sul punto la statuizione della Ctr, la Corte suprema ha attestato che il contribuente, per evitare che i costi di gestione dell'immobile in cui vive con il nucleo familiare gli vengano imputati come indici di capacità contributiva, non potrà limitarsi alla prova anagrafica della residenza con detto nucleo, ma dovrà, altresì, provare l'effettiva convivenza, nonché le disponibilità finanziarie del genitore a coprirne i costi.
Infine, con la sentenza in esame, la Cassazione, nell'accogliere il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate, ha affrontato la tematica nella prospettiva processual-civilistica. Cioè, facendo leva sul secondo comma dell'articolo 115 cpc, in base al quale il giudice può porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (fatto notorio), senza che sia necessario un ulteriore riscontro probatorio, i giudici di legittimità hanno escluso che si possa far rientrare nella nozione di comune esperienza "un evento o una situazione soltanto probabile quale, nel caso in esame, la mera prassi familiare di liberalità da parte dei genitori in favore dei figli".



Dora De Marco

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mercoledì 11 giugno 2014

L'ineccepibilità delle scritture non blocca l'analitico-induttivo

da www.fiscooggi.it

La contabilità, apparentemente regolare, può comunque essere considerata complessivamente inattendibile, se confligge con gli ordinari criteri di ragionevolezza

In tema di accertamento induttivo dei redditi d'impresa, la regolarità delle scritture contabili non rappresenta un ostacolo all'applicazione del metodo analitico-induttivo o "misto" (articolo 54, commi 2 e 3, Dpr 633/1972) per procedere alla rettifica (in aumento) dell'imponibile esposto nella dichiarazione, anche ai fini Iva, a seguito dell'emergere di singoli elementi - attivi o passivi - dei quali risulta provata aliunde l'inesattezza o la mancanza.
Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza n. 11477 del 23 maggio 2014.

I fatti
Con processo verbale di constatazione (pvc), la Guardia di finanza ha contestato a una società a responsabilità limitata l'indebita detrazione Iva assolta su acquisti non documentati o non inerenti per 313,50 euro, nonché l'omessa certificazione, registrazione e dichiarazione di proventi derivanti da cessione di beni.
Il contenuto del pvc veniva trasfuso nell'avviso di accertamento per il 1998, con il quale l'Agenzia recuperava una maggiore Iva per oltre 120mila euro.

L'avviso è stato impugnato dalla società, lamentando l'illegittimità del metodo di accertamento (differenziale di valore delle merci, piuttosto che fisica rilevazione delle stesse), l'inutilizzabilità della presunzione di cessione ex articolo 53, Dpr 633/1972, e il ricorso a presunzioni prive dei requisiti di certezza, gravità e concordanza.
Vittoria parziale in primo grado: sono state accolte le censure relative all'erronea applicazione della prova presuntiva e confermata solo l'indebita detrazione di 313,50 euro per acquisti non inerenti. Ribaltata in appello a favore dell'ufficio.

La società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l'altro, violazione e falsa applicazione degli articoli 54, Dpr 633/1972, e 2729 del codice civile, in quanto a fronte di una contabilità ineccepibile, corretta e regolare, non poteva ritenersi legittima la rettifica della dichiarazione Iva fondata esclusivamente su meri elementi indiziari e sull'utilizzo di percentuali di ricarico erroneamente e genericamente determinate, oggetto di specifica e puntuale contestazione da parte della stessa contribuente.

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e ha ribadito i principi di legittimità elaborati in tema di accertamento induttivo dei redditi d'impresa, e cioè che: "l'asserita ineccepibilità delle scritture contabili non rappresenta un ostacolo all'applicazione del metodo analitico-induttivo…" e che "la determinazione in via presuntiva della percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta … prescinde del tutto dalla circostanza che la contabilità dell'imprenditore risulti formalmente regolare".

Osservazioni
La Corte ha giudicato infondate le contestazioni della società relative all'erroneità dell'applicazione di "percentuali medie di ricarico" e di "valori percentuali medi del settore" (tra l'altro non indicati nella sentenza d'appello).
I Giudici di legittimità, infatti, hanno evidenziato che la sentenza sottoposta al loro esame faceva invece riferimento alla "media aritmetica ponderata (e non semplice) sul costo del venduto" e a una percentuale di ricarico "calcolata secondo il metodo statistico riconosciuto logico e attendibile dalla giurisprudenza", rilevata "in contraddittorio con la parte contribuente, tenendo conto delle indicazioni fornite dallo stesso amministratore unico, per ogni merce raggruppata in gruppi omogenei per categorie merceologiche, e dell'incidenza percentuale di ciascuna categoria".

Tali principi danno seguito all'orientamento di legittimità consolidato (cfr Cassazione 13027/2012 e 27912/2013), secondo il quale, a prescindere dalla esistenza di una contabilità regolare:
l'atto di rettifica, se sufficientemente motivato, è assistito da presunzione di legittimità circa l'operato degli accertatori. E cioè, se sono specificati gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e se è dimostrata la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, l'ufficio è tenuto solo a tirare le conclusioni di quanto emerge dal procedimento deduttivo, mentre grava sul contribuente l'onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate. Ciò in quanto, sia ai fini Iva (articolo 54, Dpr 633/1972) sia ai fini delle imposte sui redditi (articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973), la contabilità, apparentemente regolare, può essere considerata complessivamente inattendibile se confligge con gli ordinari criteri di ragionevolezza (cfr Cassazione 27912/2013), anche sotto il profilo di antieconomicità del comportamento del contribuente (cfr Cassazione 7144 e 11599 del 2007, 951/2009 e 1647/2010)
la percentuale di ricarico effettiva sul prezzo della merce venduta deve essere determinata in via presuntiva seguendo un criterio che, a prescindere dalla regolarità formale della contabilità, sia:
coerente con la natura e le caratteristiche dei beni presi in esame
applicato a un campione di beni scelti in modo appropriato
fondato su una media aritmetica o ponderata, scelta in base alla composizione del campione di beni (cfr Cassazione 3197/2013)
la scelta di un tipo di media piuttosto che di un altro, non costituendo oggetto di specifica previsione legislativa, non integra una violazione di norme di diritto (cfr Cassazione 14576/2001, 26312/2009 e 17952/2013). Di conseguenza, l'ufficio può ben scegliere se adottare, ai fini del calcolo della percentuale di ricarico applicata sui generi venduti, la "media aritmetica semplice" (comparazione tra prezzi di acquisito e di vendita di alcuni generi merceologici) ovvero la "media aritmetica ponderata" (comparazione tra prezzi di acquisto e vendita relativi a gruppi merceologici omogenei concernenti i beni commercializzati dall'impresa)
tale scelta è legittima nella misura in cui risponde a canoni di coerenza logica e congruità, esplicitati dall'ufficio attraverso adeguato ragionamento e verificati dal giudice adito
il controllo di logicità sulla scelta e applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e quelli di acquisto. Ciò in quanto il campione non può essere limitato in modo arbitrario solo ad alcuni articoli ma, tenendo conto degli elementi conoscitivi acquisiti dall'ufficio nel corso dell'indagine, deve riferirsi a tutte le merci commercializzate dall'impresa risultanti dall'inventario generale (cfr Cassazione 979/2003, 6849 e 6852 del 2009) o comunque a un "gruppo significativo, per qualità e quantità, dei beni", anche se non necessariamente alla totalità degli stessi beni (cfr Cassazione 6086/2009 e 17952/2013).
Questi sono tutti gli elementi esaminati dal giudice di secondo grado e rispetto ai quali non è consentito a quello di legittimità un'ulteriore valutazione fattuale.

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